di Adriano Pessina *
La rivista Nature annuncia che un gruppo di ricercatori ha portato a termine un esperimento di modifica del genoma di embrioni umani (Correction of a pathogenic gene mutation in human embryos) per verificare la possibilità di correggere una patologia. Gli embrioni, poi, sono stati distrutti, in quanto servivano solo per verificare l’efficacia di questa nuova tecnica (CRISPR) in grado di modificare il DNA umano.
Il risultato sembra entusiasmante, ma non possiamo dimenticare come è stato ottenuto.
Non possiamo ignorare che una terapia, in qualsiasi protocollo scientifico, va sperimentata in funzione anche di chi viene sottoposto all’esperimento, mentre qui gli embrioni umani sono stati generati appositamente per fare questa ricerca e poi sono stati distrutti.
Non dobbiamo passare sotto silenzio che l’embrione umano, comunque venga generato, in qualunque modo e luogo sia generato, è di fatto e di diritto il “figlio” di qualcuno e non deve essere trattato come una “cosa”, come “neutro materiale genetico”.
E non possiamo essere tranquillizzati dal fatto che i ricercatori si siano creati un comitato etico apposito che li ha autorizzati, e che abbiano reclutato i donatori di gameti tramite pubblicità stampa e via web, ma che abbiano fatto sottoscrivere un modulo di consenso informato a quelli che geneticamente e biologicamente restano “genitori”. Stupisce la facilità con cui i progetti di ricerca riescano ad autolegittimarsi oltrepassando anni di discussione e di riflessione etica sui problemi connessi con la manipolazione del genoma umano.
Non bastano le procedure, non basta la finalità terapeutica a legittimare un atto che stravolge il senso della generazione umana e trasforma un essere umano in una “cosa” da sottoporre a esperimento e da distruggere perché, anche se “guarito” dalla patologia, il senso della sua esistenza era quello di essere una “cavia umana”, per quanto microscopica, nella sua iniziale fase di vita.
Questo esperimento richiede una chiara e ferma condanna, in primo luogo dalla comunità scientifica, che ha piena consapevolezza delle implicazioni etiche e antropologiche dell’irruzione della tecnologia nella costituzione della vita umana. A volte è necessario porre dei limiti al potere tecnologico per poter salvaguardare il senso stesso della nostra umanità.
Questo momento storico richiede il superamento di ogni sterile contrapposizione ideologica perché ciò che è in gioco è la stessa idea di uomo, di dignità umana, di rispetto: dobbiamo liberarci dalle manipolazioni linguistiche che celano la chiarezza dei fatti ricorrendo a formule persuasive che parlano di terapie, di doni, di guarigioni, di umanità futura sottratta per sempre alle malattie ereditarie.
Il rischio è quello di avvolgere nell’indifferenza il fatto che si siano generati embrioni umani per il solo scopo di ricerca, abbagliati dalle promesse di future terapie o magari, in futuro, di nuove forme di potenziamento delle capacità umana: ma quando si è indifferenti di fronte anche a una sola vita umana generata e distrutta in nome della ricerca si è aperta una falla difficilmente sanabile nella nostra coscienza morale. Il rischio è quello di sottovalutare che, una volta aperta la strada alla manipolazione del genoma umano, non sapremo mettere limiti ai progetti di trasformazione delle future generazioni, che diventeranno oggetto e prodotto dei desideri, delle aspettative e delle sperimentazioni genetiche.
I cittadini hanno il diritto di essere informati, di conoscere tutti i termini del dibattito etico, di diventare protagonisti consapevoli di un argomento che oggi appare, a molti, marginale e può finire in coda alle notizie di cronaca, ma che nel futuro prossimo investirà la nostra responsabilità verso i nostri figli, la loro identità, il rispetto della loro unicità, che non sono di certo meno importanti della loro salute.
* direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica