«Siamo in una società in cui i giorni sono tutti uguali perché i sacerdoti del mercato globale ci impongono i loro tempi. Noi siamo per la liberazione di una parte del tempo e delle persone per restituirle alla vita e alle relazioni. Occorre mettere a disposizione della gente il tempo, dato che è nel tempo che si realizzano i piaceri decisivi della vita». Con queste parole il direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio, ha spiegato che capitalismo e sacro sono due cose diverse, introducendo la presentazione del libro dell’economista marchigiano Luigino Bruni, di cui ha elogiato “l’impegno etico” nel produrre ponderati articoli economici per il quotidiano cattolico.
Bruni, docente di Economia politica alla Lumsa, ha appena dato alle stampe con Vita e Pensiero, in coedizione con “Avvenire”, il volume Il capitalismo e il sacro.
Sul concetto degli “assorbitori che tolgono tempo alla vita” si è soffermato Corrado Passera, Ceo di Banca Illimity, che ha stigmatizzato l’idea che la somma degli egoismi individuali porti al bene comune. È una non verità, ha detto, invitando a perseguire un capitalismo responsabile che persegua il bene comune. «Difendere la famiglia, l’impresa, il fare utili, è lecito, ma quando si parla di responsabilità sociale bisogna fare un salto su altri valori, perché il bene comune non è contrapposizione di interessi».
In tal senso il capitalismo non è negativo ma è uno strumento a disposizione degli uomini. «L’impresa non è un inferno, non è sfruttamento, ma è un modo bello per esprimere le capacità dell’uomo, non solo dono ma anche scambio. Il capitalismo contiene strumenti per produrre benessere, innovazione, conoscenza, aggiustamenti di regole e controlli per creare benessere di lungo periodo. Il capitalismo, insomma, non può essere sostituito».
Così per Passera si può fare bene anche impresa. L’attuale mondo interconnesso, globale e interculturale, necessita di strumenti basici che oggi la scuola non dà: senso critico, capacità di elaborare informazioni, suscitare curiosità, aggiornamento. Ci troviamo davanti a una sfida culturale che richiede coraggio.
Ma di fronte a un’economia diventata idolo, ha controbattuto Luigino Bruni, ci sono valori che possono creare un bilanciamento del sistema come misericordia, dono, gratuità, e l’impresa intesa come “azione collettiva generativa”.
Per Bruni, nel XXI secolo il vincitore è il business, al quale viene reso un culto indiscusso da miliardi di persone, con i suoi dogmi e i suoi riti come il consumo, la crescita illimitata, gli incentivi, il profitto. Ma il capitalismo del domani dovrà necessariamente essere comunitario e non individualistico.
«Il capitalismo del nostro tempo è sempre più simile a una religione o, come vedremo, a una idolatria». Così scrive nel libro. Il sistema capitalistico, secondo Bruni, è diventato una religione, non solo in Occidente, ma ormai su scala globale: un culto indiscusso nella prassi quotidiana di miliardi di persone, con i suoi dogmi (il consumo in primis, e poi crescita illimitata, incentivi, meritocrazia, profitto), i suoi sacerdoti (i manager) ossequiati, i suoi riti (come il Black Friday), le sue pratiche sacrificali accettate come ineluttabili, le sue comunità chiesastiche (le imprese) desiderate. E ancora: «Il primo idolo, il capo del pantheon dell’idolatria capitalista non è l’imprenditore; non è neanche la merce e il suo feticismo (Marx), ma il consumatore»
Che cosa ha da dire e fare il cristianesimo di fronte a questa nuova forma del sacro, diventata una vera e propria idolatria? La fede biblica ben conosce queste derive dell’umano, tentazione a cui sempre è stata esposta. Ma conosce anche la inestirpabile carica anti-idolatrica che sempre l’ha abitata e tenuta in vita.