Per molti rappresenta ancora un’emergenza. Eppure la presenza tra i banchi di scuola di cinesi, romeni, albanesi, filippini, maghrebini è ormai un dato di fatto nel nostro Paese. Basti pensare che sono oltre 600mila gli immigrati registrati nell’anno scolastico 2010, di cui circa l’11% iscritto alle scuole primarie. Numeri destinati a crescere se è vero che secondo uno studio recente della Fondazione Agnelli si potrebbe passare dagli attuali 65mila stranieri agli oltre 100mila del 2015 (17%), la maggior parte dei quali nati in Italia. Una crescita costante, insomma, che pone la scuola e gli insegnanti di fronte alla sfida di mettere a punto strategie e percorsi didattici innovativi che favoriscano l’integrazione culturale. Proprio come da alcuni anni stanno sperimentando nove istituti della periferia di Milano - 2 direzioni didattiche e 7 istituti comprensivi - ad alta percentuale di alunni di cittadinanza non italiana.
Cadorna, Giusti, Battisti, Casa del Sole, Filzi, Thouar Gonzaga, Di Nicola, T. Grossi e Russo Pimentel: queste le scuole protagoniste di nuove forme di pluralismo culturale, le cui esperienze pilota sono state studiate da un’équipe di ricercatori dell’Università Cattolica composta da Elisabetta Dodi, Ulderico Maggi e Silvio Premoli, e poi raccontate nel volume La qualità della scuola interculturale. Nuovi modelli per l’integrazione (Edizioni Erickson, Trento 2010), a cura di Milena Santerini, docente di Pedagogia generale alla facoltà di Scienze della formazione.
Le scuole prese in esame, collocate in zone mediamente periferiche, prevalentemente a Sud di Milano, presentano un’alta percentuale di alunni immigrati, dove in alcuni casi, come la “Casa del sole” di via Padova, tocca punte del 51,9% e proviene da 27 paesi diversi. «Da anni abbiamo predisposto percorsi formativi personalizzati - ha affermato Francesco Cappelli - e i nostri insegnanti hanno acquisito una grande esperienza nel saper parlare a bambini di ogni nazionalità. Inoltre il 90% degli alunni di origine straniera sono nati a Milano e, ormai, sono milanesi quanto noi». Si tratta, quindi, di vere e proprie scuole multiculturali, che dicono che l’integrazione è possibile. Protocolli di accoglienza, criteri per la distribuzione degli immigrati nei vari plessi, modularizzazione dell’insegnamento della lingua italiana, sportelli informativi pronti a parlare con le famiglie straniere, documenti e pagelle redatti in più lingue, revisione della proposta didattica: sono queste solo alcune delle buone azioni messe in pratica dai nove istituti milanesi per far sì che la dimensione interculturale entrasse a far parte del progetto formativo della scuola. «Parliamo di strategie destinate a favorire non solo l’inserimento di bambini stranieri, a prescindere dalla loro nazionalità, senza ghettizzazioni o classi ponte, ma volte anche a coinvolgere le loro famiglie», ha chiarito Elisabetta Dodi, tra i ricercatori impegnati sul campo per analizzare le nove scuole. «Questo perché - come ha sottolineato Susanna Mantovani - ogni bambino è portatore di una storia individuale che la scuola deve riconoscere. Una formazione equilibrata delle classi richiede un lavoro di comunicazione rinnovata con la famiglia: bisogna promuovere un’intercultura di seconda generazione mirata a pratiche educative e didattiche che vadano al di là di quelle tradizionali».
Un processo che implica, però, notevoli cambiamenti all’interno della scuola, resi ancora più difficili dalle restrizioni economiche seguite alla recente riforma Gelmini. «Le risorse oggi sono sempre minori – ha avvertito Milena Santerini – e i tagli non permettono di portare avanti i percorsi che si vorrebbe. Ma molto dipende anche dagli insegnanti e dai dirigenti scolastici». Occorrono però anche cambiamenti a livello politico e normativo. Già, perché quando si parla di immigrati nelle scuole dell’infanzia e nella scuola primaria bisogna tener presente che ben il 70%, secondo dati del ministero dell’Istruzione, è di seconda generazione, ossia nati in Italia che la legge non considera cittadini a tutti gli effetti. «Per questo è fondamentale che il sistema politico dia risposte concrete - ha detto Stefano Molina -: non si può crescere col dubbio di non vedersi riconosciuto un diritto fondamentale come quello della cittadinanza». Un modo per dire che la vera sfida per una scuola interculturale passa anche dalla concessione della cittadinanza ai bimbi nati in Italia.