Ci sono voluti duemila anni di intuizioni per passare dai primi simboli grafici al primo alfabeto scritto: oggi al cervello dei bambini diamo circa duemila giorni di tempo per riorganizzare i suoi circuiti neuronali e imparare a leggere. Un bel salto nei processi di apprendimento, reso possibile dall’elasticità del nostro cervello. «Non siamo nati per leggere. È passato solo qualche migliaio di anni dall’invenzione della lettura. L’invenzione ha portato con sé una parziale riorganizzazione del nostro cervello, che, a sua volta, ha allargato i confini del nostro modo di pensare mutando l’evoluzione intellettuale della nostra specie». Inizia così il libro di Maryanne Wolf, neuroscienziata americana che insegna alla Tufts University del Massachussets e dirige il Center for reading and language research. È una tra le massime esperte di neurobiologia della lettura e dei disturbi correlati come la dislessia. In Italia per presentare il suo ultimo libro sull’argomento “Proust e il calamaro. Storia e scienza del cervello che legge”, tradotto in italiano e pubblicato da Vita e Pensiero, la Wolf ha partecipato a una giornata di studio in Università Cattolica dedicata al tema “La lettura oggi tra cambiamenti culturali e difficoltà cognitive”, organizzata dall’Alta Scuola di Psicologia “Agostino Gemelli” e dal Servizio di Psicologia dell’apprendimento e dell’educazione.
Come sostiene la Wolf nel suo libro, il cervello ha una sbalorditiva capacità di riorganizzarsi per apprendere nuove funzioni intellettive e quella della lettura non è immediata. Anche alla base dell’imparare a leggere c’è la capacità del cervello di creare nuovi collegamenti tra strutture e circuiti originariamente preposti ad altri processi cerebrali che hanno una storia evolutiva molto più lunga come la vista e la lingua parlata. Si può affermare che non appena un bambino impara a leggere, il suo cervello cambia per sempre, sia fisiologicamente che intellettualmente. E per questo possiamo dire che noi siamo quello che leggiamo. Addirittura il cervello umano si presenta morfologicamente differente a seconda che la persona abbia imparato il cinese, il giapponese o l’inglese.
Questa duttilità del cervello rende possibile i cambiamenti e gli adattamenti sociali e culturali come quelli provocati dall’era del digitale anche se non sappiamo cosa ci attende, qual è il futuro del nostro nuovo modo di leggere e di apprendere. Socrate sosteneva che la lettura consentiva una interpretazione superficiale e solo l’ascolto dava la possibilità di pensare e diventare saggi, poi virtuosi e quindi più vicini a Dio. Provenendo da una cultura che veniva tramandata oralmente e alla quale si affidava il compito di suscitare la capacità critica del discepolo, la riflessione e l’approfondimento, il filosofo era diffidente rispetto alla nuova forma di apprendimento della scrittura e quindi della lettura. Oggi si pone un problema analogo con l’avvento dell’era digitale. Si dice che il cervello digitale enfatizzi, recuperi in fretta ed efficacemente le informazioni e produca molta attività, oltre che divertimento soprattutto nel caso dei ragazzi. La questione è come preservare l’approfondimento, l’inferenza, i procedimenti analogici, la contemplazione che vengono assicurati con la lettura del libro.
Nella lettura online, infatti, l’attenzione è continua ma parziale, ci si distrae continuamente passando da un’informazione all’altra, e si sperimenta l’integrazione multitasking ed efficace di informazioni diverse. Una considerazione che potrebbe apparire strana è che i bambini si annoiano anche di fronte a tanta ricchezza, probabilmente perché non hanno né il tempo né la motivazione sufficienti per elaborare le informazioni che acquisiscono in modo inferenziale, analitico e critico.
Nell’apprendimento conta lo sviluppo visivo e uditivo, così come quello cognitivo, sociale, emotivo e del linguaggio. All’età di 4 anni un bambino in una famiglia di professionisti dovrebbe conoscere quasi 45 milioni di parole, in una famiglia operaia dovrebbe conoscerne quasi 26 milioni, in una famiglia socialmente assistita quasi 13 milioni. Tutto questo fa capire quanto importanti siano le sollecitazioni che vengono date al nostro cervello nel processo di apprendimento di un bambino. L’ascolto di un linguaggio ricco è certamente uno strumento privilegiato per aumentare le abilità cognitive del bambino nella sua prima infanzia. E così la lettura negli anni immediatamente successivi.
Pur non sapendo dove porterà l’utilizzo sempre maggiore e sempre più alla portata di tutti dell’online e delle nuove tecnologie, è certo, sostiene la Wolf, che per non assomigliare sempre di più alle macchine che usiamo, nella dieta culturale del bambino è importante che porzioni significative siano destinate alla lettura e non ci sia un eccesso di tutti gli stimoli alternativi, dalla televisione, ai pc, ai videogiochi, a internet. Il consiglio è dunque di assecondare la curiosità rispetto alle novità ma garantendo sempre lo zoccolo duro costituito dalle tradizionali modalità di apprendimento. Come diceva lo scrittore americano recentemente scomparso, John Updike, «una buona storia finisce sempre con una porta aperta…».