Cosa si intende per sostenibilità alimentare? Quali leggi la regolamentano? E quali strategia possono essere attuate per una corretta comunicazione del tema? Se ne è parlato nell'ambito di "Gestione e comunicazione della sostenibilità", prima lezione del master Condividere per gestire e comunicare la sostenibilità. Circular economy, sviluppo umano e green jobs promosso da Asa - l'Alta Scuola per l'Ambienta diretta da Pierluigi Malavasi e tenutasi presso la Sala Libretti del Giornale di Brescia.
Tra gli invitati ad esprimere la propria opinione sul tema, Maria Chiara Gadda che ha posto la sua attenzione in primo luogo sulla legge sullo spreco alimentare entrata in vigore il 14 settembre 2016, formata da 18 articoli, e che è frutto di un lavoro molto lungo in Parlamento nonchè dell'osservazione di una questione concreta che si appresta a divenire urgente.
«Questa legge non si occupa di una gestione del rifiuto, bensì di recuperare prodotti che non sono solo generi alimentari ma anche farmaci e oggetti, prima che si deteriorino. La legge ruota attorno alla parola “povertà” in quanto essa ha un impatto non indifferente sul paesaggio che ci circonda. L’Italia è il secondo Paese europeo a dotarsi di una normativa di questo tipo, dopo che la Francia ha approvato una legge contro gli sprechi: mentre il modello francese si concentra sul sanzionamento e prevede multe e, in casi estremi, la detenzione, l’Italia ha puntato sul dono di benefici a livello brutocratico per chi si dimostrerà virtuoso».
L’articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sancisce il diritto al cibo come un diritto primario.
Ma chi spreca? E dove? Tutti sprecano, dalle case alle industrie. Lo spreco arriva per metà dalle case - è il caso del cosiddetto spreco domestico - e per metà dal settore primario, secondario e terziario (ristoranti, mense scolastiche...). A tal proposito la legge francese si concentra sulla grande distribuzione che, per la sua organizzazione, si configura come il moderno sistema di vendita al dettaglio attraverso una rete di supermercati e di altre catene di intermediari di diversa natura.
Lo spreco alimentare è dovuto principalmente ad una scorretta informazione. Un esempio di mal informazione è la differenza tra la data di scadenza dei prodotti - indicato dalla dicitura “da consumarsi entro” - e la TMC - ovvero il termine minimo di conservazione segnalato dalla dicitura “da consumarsi preferibilmente entro”-: mentre la data di scadenza è il termine per cui un prodotto, dopo una certa data, se ingerito, risulta un pericolo per la salute umana (come ad esempio latticini o il pesce fresco), la TMC è l’indicazione che garantisce al consumatore che entro quel termine il prodotto mantiene le sue caratteristiche migliori, ma ciò non significa che, dopo tale data, il prodotto non sia più commestibile (es. gli inscatolati, pasta).
Una possibile risposta alla questione dello spreco di cibo potrebbe venire dalla "Family Bag" o "Doggy bag". Si tratta di una borsa in acciaio, carta, alluminio, legno o plastica che ha l’obbiettivo di rendere il riutilizzo del cibo avanzato al ristorante un’abitudine socialmente condivisa e non più imbarazzante. «La Family Bag avrà senso quando i cittadini andranno al ristorante ed ordineranno nelle quantità giuste. Educare, sensibilizzare e dare le informazioni corrette è un passo importante verso la cultura del non spreco». ha dichiarato l’Onorevole.
Diversa dallo spreco alimentare è l’eccedenza alimentare, ossia quel ‘surplus' che per diverse ragioni, non sempre eliminabili, si genera nella filiera alimentare. Non sempre eliminabili perché nell’agricoltura, ad esempio, capita che alcuni prodotti rimangano a terra, in quanto molte volte raccoglierli costa di più che venderli. La legge risponde proprio alla domanda su quali di questi prodotti debbano essere considerati rifiuto oppure possono trasformarsi in un bene per qualcun altro.