«Il ciclismo sarà il primo sport a liberarsi della piaga del doping perché è stato il primo ad affrontare con decisione il problema». Parola di Alfredo Martini. Uno dei grandi vecchi del nostro ciclismo. Nato a Firenze il 18 febbraio del 1921 Martini rappresenta una delle memorie storiche del mondo delle due ruote. Ciclista professionista dal 1940 al 1957 (miglior risultato un terzo posto al Giro ’50 alle spalle di campioni come Koblet e Bartali) ha guidato la nazionale italiana di ciclismo su strada dal 1975 al 1997. Sotto la sua conduzione tecnica sono arrivati ben sei titoli mondiali: Moser, Saronni, Argentin, Fondriest e due volte Bugno.

Una vita che meritava di essere raccontata perché attraversa tutte le epoche del ciclismo, dall’era epica dei pionieri a quella degli sponsor sempre più invadenti. Oggi i ricordi e i pensieri dell’ex commissario tecnico della nazionale sono raccolti in un libro: Alfredo Martini. Memorie di un grande saggio del ciclismo scritto da Franco Calamai, una delle firme più autorevoli della Gazzetta dello Sport. Il volume è stato presentato dagli autori giovedì 8 maggio nell’aula Pio XI dell’Università Cattolica. L’incontro, moderato da Giorgio Simonelli, docente di Giornalismo radiofonico e televisivo e intitolato 70 anni di storia d’Italia e di uomini in bici ha visto la partecipazione anche di prestigiosi esponenti del giornalismo sportivo e del ciclismo. Tra questi anche un mito vivente del ciclismo, Fiorenzo Magni, uno dei più grandi di tutti i tempi. Un vivace signore che oggi ha 88 anni ma che in gioventù ha vinto qualcosa come tre Giri d’Italia e che si impose altrettante volte al Giro delle Fiandre e al Mondiale. Per rendere l’idea erano anni in cui gli avversari si chiamavano Fausto Coppi, Gino Bartali e Charly Gaul.

Chiamato a rispondere sui mali che affliggono il ciclismo di oggi il vecchio campione chiarisce subito che purtroppo o per fortuna le cose sono molto diverse: «Ai miei tempi in squadra eravamo in otto. Oggi i team sono composti da 25 corridori ed è normale che i ciclisti scelgano di fare solo le gare a loro più congeniali. È un mondo che è cambiato. Durante le grandi corse a tappe per esempio noi mica andavamo a dormire negli alberghi, ci mandavano nei conventi».

«Un’idea per dare nuova popolarità al ciclismo- prosegue Magni – io ce l’avrei. Riservare il Giro d’Italia alle squadre nazionali. Potrebbe essere una formula vincente». Il dibattito prosegue e Martini racconta aneddoti e curiosità. Mentre parla sullo schermo alle sue spalle scorrono le immagini di un ciclismo che non c’è più. Non è solo quello dei tempi di Coppi e Bartali ma anche del dualismo Saronni e Moser. Due campioni che Martini ha saputo gestire e mettere al servizio della squadra. Ma non c’è nulla da fare il discorso alla fine cade sempre lì, sul maledetto doping. Per Franco Cribiori altra figura mitica del ciclismo c’è poco da fare: «Oggi comandano gli sponsor. Per un corridore, che non dimentichiamolo, spesso è un ragazzo di poco più di vent’anni, non è importante la gara appena vinta ma quella da vincere. E se tutti prendono delle sostanze per andare avanti che cosa si può fare ? O si smette o ci si adegua».

Un momento difficile per il ciclismo ma Martini è ottimista: «Il nostro è uno sport che non morirà mai. Oggi nonostante tutto la gente aspetta giorni sul ciglio delle strade il passaggio della carovana. È la gente la vera anima delle due ruote. Fino a quando non ci abbandonerà il ciclismo sarà sempre nel cuore di tutti».