di Furio Sacchi e Silvia Lusuardi Siena *
Maria Pia Rossignani, nata l’8 settembre 1940 a Craveggia (allora provincia di Novara), si è spenta il 4 maggio scorso. Si era iscritta all’Università Cattolica di Milano per coltivare gli studi storico-artistici, ma l’incontro con il professor Michelangelo Cagiano de Azevedo la indirizzò all’archeologia del mondo classico, che, a partire dalla tesi di laurea, discussa nel 1962, su “I restauri settecenteschi ai dipinti di Ercolano e Pompei”, rimase al centro dei suoi interessi di studiosa e di docente.
Prima assistente ordinario e dal 1980 professore associato di Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana all’Università Cattolica, nel triennio 1990-1993 fu professore straordinario di Archeologia all’Università degli Studi de L’Aquila, città cui rimase sempre legatissima. Nel 1993 rientrò in largo Gemelli in qualità di professore ordinario sulla cattedra di Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana e qui continuò la sua attività sino al pensionamento nel novembre del 2012. Fu direttore della Scuola di Specializzazione in Archeologia dalla sua istituzione, nel 1997, fino al 2010 e coordinatore del dottorato di ricerca in “Archeologia dei processi di trasformazione. Le società antiche e medievali” dal 1997 al 2008.
La partecipazione, ancora giovanissima, agli scavi di Malta sotto la direzione scientifica di Cagiano de Azevedo la portò a contatto con le culture antiche al centro del Mediterraneo e a intessere con Antonia Ciasca rapporti di stima e di profondo affetto riconfermati, a molti anni di distanza, dal coinvolgimento nel progetto di studio del santuario di Tas Silġ, quando la Ciasca divenne direttore della Missione archeologica italiana nell’isola.
Il trasferimento a Parma, dopo il conseguimento della laurea e del diploma di perfezionamento in Archeologia, sempre nel nostro Ateneo, costituì un’ulteriore decisiva tappa nel suo percorso formativo, segnato questa volta dall’incontro con il professor Antonio Frova, che la coinvolse prima nello studio e nella pubblicazione dei materiali architettonici romani rinvenuti in città e, poi, nelle importanti indagini archeologiche nella colonia romana di Luni (La Spezia) su cui converge buona parte della sua produzione scientifica compresa tra gli anni 1970 e 1990. Una lunga fase della sua vita in cui, dopo le esperienze di scavo nella chiesa di Sant’Andrea ad Orvieto con Cagiano de Azevedo, ebbe modo di svolgere un ruolo – guida per diverse generazioni di più giovani studiosi.
La collaborazione con Frova proseguì anche in ambito lombardo con la ripresa delle indagini sul complesso sacro di età tardo repubblicana scoperto a Brescia al di sotto dei resti del Capitolium flavio. Riguardo a Milano gli studiosi sono a lei debitori della messa a fuoco sui più antichi documenti della plastica architettonica romana e delle conoscenze relative all’anfiteatro di via Conca del Naviglio contenute nei suoi preziosi lavori di rilettura del monumentale complesso paleocristiano di San Lorenzo Maggiore: ricerche queste che confermano l’ampiezza dei suoi interessi culturali anche per il tardo antico e l’apertura all’età postclassica. A partire dal 1986 l’ampliamento della sede milanese dell’Università Cattolica la vide infatti impegnata in qualità di responsabile scientifico nelle indagini preventive nei cortili dell’Ateneo, da lei fortemente caldeggiate e che hanno dato esiti di grande interesse, valorizzando anche sotto il profilo archeologico la sede “storica” dell’Università. La pubblicazioni dei risultati di tali indagini fu anche l’occasione per “rifondare” la collana dei “Contributi di Archeologia”, mentre la ricca messe di reperti depositati per studio nei sotterranei dell’Ateneo costituì l’occasione per la creazione del Laboratorio di Archeologia “Michelangelo Cagiano de Azevedo”, spazio didattico e di ricerca, inaugurato nel 2001 e per la cui realizzazione si spese a lungo.
Gli ultimi anni del suo intenso lavoro sono stati assorbiti dallo scavo nel complesso sacro di Tas Silġ, a Malta, quando, scomparsa nel 2001 l’amica Antonia Ciasca, divenne direttore della Missione archeologica italiana. Contestualmente operava anche con alcuni allievi a Hierapolis di Frigia, in Turchia, nella Missione archeologica italiana diretta da Francesco D’Andria dell’Università del Salento e alla quale partecipava anche Annapaola Zaccaria Ruggiu dell’Università di Venezia: dopo Luni si ricreò così anche in Turchia l’antico legame tra i componenti del nucleo milanese degli allievi di Cagiano. A Hierapolis Maria Pia Rossignani si prodigò con enorme energia e passione allo studio dei resti strutturali e architettonici della monumentale stoà-basilica nella cosiddetta agorà settentrionale. La paziente analisi ricostruttiva, durata anni, di un edificio pubblico a due piani, lungo circa 280 metri, conservato solo a livello di fondazione e di centinaia di elementi architettonici raccolti nel corso del tempo senza adeguata documentazione rappresenta una convincente metafora della sua determinazione e delle sue capacità scientifiche non disgiunte da una qualità intuitiva, senza le quali i dati oggettivi rimangono inanimati.
Fu persona riservata e concreta, ottimista, sempre pronta a raccogliere le sfide anche nelle situazioni più complicate, qualità che si apprezzano nella sua scrittura, densa, concisa, che riflette un pensiero limpido, scarno, essenziale. Fu determinata nel porre la sua attività didattica davanti a ogni altro impegno professionale e personale, per rispetto degli studenti, ma anche delle proprie conoscenze, che non dovevano rimanere confinate in se stesse, ma diventare patrimonio di una condivisione culturale, al servizio della difesa dei beni archeologici. La sua curiosità e serietà scientifica non si posero mai in alternativa alla profonda umanità nei rapporti con colleghi, collaboratori, studenti e con quanti venivano in contatto con lei, indipendentemente dalla loro condizione sociale, culturale e soprattutto accademica. La sua solidarietà verso i meno privilegiati fu sempre trasparente e senza ambiguità e si manifestò più volte nelle situazioni di concreto bisogno. Lo ha dimostrato la sua attiva partecipazione nel complesso progetto di riconoscimento delle pietre e di ricostruzione filologica del trecentesco Duomo di Venzone distrutto dal terremoto che nel 1976 aveva colpito il Friuli Venezia-Giulia, sua regione di adozione. Il libro bianco Le pietre dello scandalo è eloquente testimonianza della sua passione civile e dell’impegno sul fronte della salvaguardia dei beni culturali. Ha affrontato con coraggio e senza lamentele, con il sorriso sulle labbra, la malattia che di recente l’aveva colpita traendone un insegnamento che ha offerto, come estremo esempio, a tutti i compagni di strada.
* rispettivamente docente di Archeologia classica e docente di Archeologia medievale