di Emanuela Gaia Zapparoli *
Partire per Boston è stato quasi un salto nel buio per una come me che vive e studia a Milano, ha imparato l'inglese nella propria città e non è stata mai lontana da casa per più di due settimane. Quello che ha prevalso è stato il desiderio di mettermi in gioco e di scoprire un mondo più grande di quello in cui vivo. E il desiderio si è trasformato in occasione nell'accedere alla mia pagina personale Icatt: un banner pubblicizzava il Premier Scholars Program, attraverso cui l'Istituto Toniolo offriva una borsa di studio a uno studente di Giurisprudenza del quarto o quinto anno per poter trascorrere un semestre di studio presso la Boston University (Bu).
Non conoscevo la città americana e avrei preferito una meta europea, perché temevo di perdere il filo del mio percorso accademico. E poi sarei risultata la prima studentessa di Giurisprudenza a sperimentare questa nuova destinazione senza alcun metro di riferimento. Ma il confronto con gli uffici di Ucsc International è stato decisivo per sciogliere i dubbi. E finalmente sono partita.
L'impatto con Boston è stato bellissimo. La città non é molto grande e si affaccia sull'oceano. Il campus si estende lungo la Commonwealth Avenue, costeggiando il Charles River. La vista dalle mense, dalle aule e perfino dalle biblioteche è mozzafiato. Il campus si allunga fin quasi a toccare il centro della città: un vantaggio enorme quando si vuole evadere dallo studio per un pomeriggio di shopping al Pru o anche solo per una passeggiata sull'Harvard Bridge, che collega il campus della Bu con Cambridge, dove si trovano il Mit e Harvard.
Gli americani hanno una espressione per indicare il momento di disorientamento che prova un europeo negli States: culture shock. Per quanto ci si possa preparare o sapere bene la lingua, dopo il periodo di honey moon, dove a prevalere è l'adrenalina e la meraviglia per un ambiente nuovo, uno si alza la mattina, esce di strada, si guarda attorno e si chiede mentalmente chi gliel'ha fatto fare di andare dall'altra parte dell'oceano, con meno quattordici gradi e tormente di neve ogni weekend (gioie e dolori del New England), a studiare International Commercial Law, Public Policy e Criminal Justice. Soprattutto all'inizio, la tentazione di rintanarsi nel gruppo di studenti internazionali, che ho avuto la possibilità di conoscere bene grazie a quattro giorni di intensa orientation, è molto forte, con il rischio di ghettizzarsi e di imparare il francese o lo spagnolo al posto dell'inglese.
Qui mi è venuto in aiuto sia il metodo accademico americano sia il fatto di aver deciso di risiedere negli alloggi del college. Ho avuto la fortuna infatti di dividere la camera con una ragazza di New York, appena trasferitasi in Bu da Providence. L'amicizia non scontata e che dura ancora oggi mi ha fatto aprire a un modo diverso di porsi: la mentalità rispetto alla nostra è davvero diversa, e nonostante la globalizzazione e l'influenza dell'America sul nostro Paese, ti senti davvero dall'altra parte del mondo. Soprattutto per uno studente di Giurisprudenza, lo sforzo di immedesimarsi per comprendere i valori e i principi su cui una società si fonda è fondamentale per capire le basi del loro sistema giuridico.
Le lezioni sono strutturate in modo diverso rispetto alle nostre e gli assignments, i paper da consegnare e la partecipazione attiva in classe, costringono a un lavoro settimanale e a una relazionalità che è difficile sperimentare in Italia. Da un certo punto di vista ero facilitata rispetto ai miei colleghi americani perché sono abituata a una mole di lavoro maggiore. Quello che ho dovuto imparare a fare, e chi mi è utile ancora oggi, è il lavoro di ricerca nel rispetto delle scadenze imposte. Può sembrare poca cosa ma soprattutto cominciando il lavoro di tesi mi sono resa conto di quanto sia importante.
Sono tornata più sicura e più intraprendente. Ho stretto nuove amicizie con ragazzi americani, libanesi e francesi da cui è stato difficile separarsi ma con cui è facile restare in contatto. Ma soprattutto, lasciandomi coinvolgere da una società diversa, mi sono messa alla prova e ho avuto la possibilità di studiare e approfondire le cose che mi interessano di più. Se l'Università è il luogo privilegiato in cui vengono messi a disposizione gli strumenti per diventare grandi, i sei mesi trascorsi a Boston sono stati il coronamento di un percorso di crescita non solo accademica ma anche personale. Altro che salto nel buio.
* 23 anni, di Milano, quinto anno della laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza, facoltà di Giurisprudenza, sede di Milano