Papa Francesco è in Africa per la viaggio apostolico in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana. Dalle parole che sta pronunciando emerge un appello a “promuovere modelli responsabili di sviluppo economico”, perché “l’esperienza dimostra che la violenza, il conflitto e il terrorismo si alimentano con la paura, la sfiducia e la disperazione, che nascono dalla povertà e dalla frustrazione”.
Proprio in alcuni dei Paesi visitati dal Papa, l’Università Cattolica è presente con il Global Mba in lmpact Entrepreneurship dell'Alta Scuola impresa e società (Altis) per formare imprenditori sociali (in alto la festa dei diplomati della prima edizione del Kenya). E, dallo scorso settembre con la Fondazione E4Impact (Entrepreneurship for impact), costituita insieme a Mapei, Securfin, Salini-Impregilo e l’Associazione Always Africa. Pubblichiamo l’intervista che il quotidiano “Avvenire” ha fatto al professor Mario Molteni, docente di Economia aziendale in Cattolica, fondatore dell’Altis e presidente di Always Africa.
Formare una nuova generazione di imprenditori e imprese sociali nel continente africano. Ma anche contribuire a far crescere, su questi temi, le università locali. E aiutare le imprese italiane che intendono svilupparsi in Africa, secondo principi di sostenibilità e mettendo al primo posto l'impatto sociale prodotto nelle comunità.
Sono gli obiettivi della Fondazione E4Impact (Entrepreneurship for impact), costituita a settembre dall'Università Cattolica Milano insieme a Mapei, Securfin, Salini-Impregilo e l’Associazione Always Africa. «Faremo il possibile per partire nel 2016 in quattro nuovi Paesi, in cinque anni vogliamo coinvolgere alcune migliaia di imprenditori sociali», spiega Mario Molteni, fondatore di Altis-Cattolica presidente di Always Africa e nel Cda di E4Impact.
Verso quali Paesi avverrà l'espansione? Dai cinque nei quali siamo, Kenya, Ghana, Uganda, Sierra Leone e Costa d'Avorio, andremo in Nigeria, Senegal, Tanzania ed Etiopia: sono economie importanti, dove abbiamo buone relazioni con le università locali, che sono i nostri partner in ogni Paese, e d'interesse per le imprese italiane che si sono coinvolte con noi. I contatti avviati sono molti, tante anche le manifestazioni d'interesse che abbiamo ricevuto, da imprese italiane grandi e medie. La fondazione è lo strumento che per - mette di coinvolgere imprese, e istituzioni, per uno sviluppo rapido e ampio del progetto.
In quali settori ci sono le maggiori potenzialità per le imprese italiane? Gli spazi sono enormi: in Kenya, ad esempio, c'è bisogno di qualcosa come 200mila abitazioni l' anno, per i prossimi dieci anni. Penso anche alle imprese italiane con tecnologie connesse all' agricoltura e a tutta la filiera del cibo, che sono i temi di Expo. Poi c'è la grande opportunità delle energie rinnovabili: l'elettrificazione rurale in Africa ha un potenziale straordinario.
Perché puntare sull'impresa sociale, nel contesto africano? L’Africa è una realtà dove i bisogni elementari, acqua, cibo, energia, casa, devono ancora essere soddisfatti su vasta scala. E in questo la formula dell'impresa sociale può giocare un ruolo fondamentale. Comunque, che si tratti di impresa non profit o impresa tradizionale, il punto è non ripetere gli errori fatti in Occidente. Occorre partire da subito con iniziative improntate a responsabilità e sostenibilità: tutela dell'ambiente, paghe dignitose, buone condizioni di lavoro.
Quali sono i vostri partner accademici? Operiamo con università africane pubbliche e private. All'inizio è stato più semplice stabilire relazioni con le università cattoliche, presenti capillarmente in Africa, anche grazie alla reputazione riconosciuta all'Università Cattolica di Milano in tutto il mondo. Ma siamo aperti ad ogni collaborazione. Inoltre, pensiamo che il nostro Mba possa fare da apripista per future iniziative anche in altri ambiti, più tecnici: agribusiness, ingegneria, sanità.
Sostenere lo sviluppo in Africa è una strada, anche, per contenere i drammatici fenomeni migratori? L'assenza di opportunità di lavoro è una delle principali cause di questi fenomeni. Il nostro contributo è solo una goccia nell’oceano, ma va nella direzione giusta: lo sviluppo dell'imprenditorialità. Non solo per l'impatto diretto delle nostre iniziative, ma anche, come abbiamo già sperimentato ad esempio in Kenya e Ghana, perché fungiamo da diffusori di una cultura imprenditoriale, aiutando a innescare processi di sviluppo virtuosi.
Andrea Di Turi
Per gentile concessione di "Avvenire". Articolo pubblicato giovedì 26 novembre 2015, pagina 7