Abbiamo chiesto ad alcuni professori dell’Università Cattolica di spiegare le origini e gli sviluppi della nuova crisi mediorientale e di aiutarci a capire quali strumenti si possono adottare per spegnere la miccia di una situazione esplosiva.
di Andrea Plebani *
La morte del generale Qassem Soleimani ha segnato in maniera profonda gli equilibri della regione mediorientale. Tra i principali artefici della prorompente ascesa di Teheran all’interno della cosiddetta “mezzaluna sciita”, il comandante delle brigate al-Quds era uno dei simboli più importanti della “rinascita geopolitica” iraniana all’interno dell’arco di instabilità compreso tra Levante, Mesopotamia e Golfo. Il sistema di relazioni formali e informali costruito da Soleimani si era rivelato in tal senso fondamentale, garantendo a Teheran uno strumento flessibile e capace di operare su più livelli (militare, socio-politico ed economico in primis). La sua morte rappresenta quindi un colpo durissimo per la Repubblica Islamica, alle prese con una congiuntura economica estremamente negativa e con i rischi di incorrere in una iperestensione potenzialmente in grado di mettere a repentaglio i risultati conseguiti in questi anni.
Eppure, la dipartita del generale nasconde insidie per Washington e per i suoi alleati che vanno ben oltre le manifestazioni oceaniche organizzate per commemorare il leader iraniano. Per quanto rimanesse una figura estremamente controversa, Soleimani rappresentava uno dei pochi punti fermi di un sistema mediorientale sempre più frammentato e destabilizzato. Un avversario temibile e astuto, che si era però dimostrato capace di tenere sotto controllo le ali più radicali delle forze sotto la sua guida e col quale era stato possibile confrontarsi in passato. In Afghanistan, così come in Iraq e Siria. Non è detto che i suoi successori siano in grado (o siano disposti) a fare altrettanto, soprattutto alla luce di un modus operandi statunitense che rischia di avere strascichi ben più significativi e durevoli di quanto ipotizzato.
* Ricercatore di Geopolitica alla facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere dell’Università Cattolica, campus di Milano e Brescia