La sconfitta di Caporetto, da molti ritenuta la più grande disfatta dell’esercito italiano, rappresenta una vicenda che ha da sempre trasceso la pura dimensione storica, imponendosi alla memoria generale come il paradigma del tracollo di un intero Paese.
Del “mito” della XII battaglia dell’Isonzo si è occupato il secondo incontro del ciclo di “Giustizia e letteratura” dedicato alla Grande Guerra, dal titolo «Dalla sconfitta al riscatto. Il dolore, la memoria e la verità di Caporetto». Nella collaudata prospettiva interdisciplinare, la letteratura, come ricordato dal professor Gabrio Forti, citando Robert Musil, si affianca alla ricostruzione storica e diventa dimensione del possibile storico, prospettiva che permette di cogliere ed indagare la tipicità spirituale della disfatta, penetrandone il vero significato (nella foto a sinistra Marcia nella valle dell'Isonzo).
Occuparsi di Caporetto, ricorda lo storico Mario Isnenghi, significa innanzi tutto cercare di comprendere le ragioni della sua proverbialità, così dirompente da non permettere più una piena e completa redenzione neanche dopo la vittoria finale del novembre 1918.
In questo senso, la disfatta del 24 ottobre 1917 non fu solamente una sconfitta militare che segnò indelebilmente il ricordo, tanto far dire a D’Annunzio che la successiva battaglia di Vittorio Veneto fu una «vittoria mutilata», ma si presentò all’immaginario collettivo come un evento rivelatore delle più intime fibre del popolo italiano, della sua insicurezza e della complessità delle forze sociali e delle ideologie della società italiana dell’epoca.
Da questa suggestione mitica, come ha spiegato il professor Giuseppe Langella, ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Cattolica, non è certo immune la letteratura che nel confrontarsi con il tracollo di Caporetto ha cercato di rappresentarne l’intima verità (nella foto a destra il Bollettino di Cadorna del 28 ottobre 1917).
Quella dell’incredulità e dello sconcerto per un attacco che, sebbene atteso, si trasformò inspiegabilmente in una inaspettata tragedia; e quella della ricerca dei responsabili che di volta in volta sono stati individuati nell’esercito stesso (come ricordano con profonda vergogna Gadda e Baldini), nella biasimevole resa di alcuni reparti (Puccini), nell’enfatica rivolta ed insubordinazione dei fanti (Bacchelli) o ancora nel Paese stesso, percorso da ideologie pacifiste e internazionaliste (Marinetti e Soffici), fino ad arrivare ad una lettura della sconfitta come rivolta di classe, espressone di un diffuso malessere serpeggiante in tutti gli eserciti (Malaparte).
Nelle parole di Alessandro Provera, assegnista di ricerca di Diritto penale alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica, la letteratura caporettiana offre alcuni importanti spunti anche al giurista, ponendolo a confronto con alcune delle tematiche care alla riflessione sulla Giustizia nella modernità.
Da un lato, la disfatta dell’Isonzo mette in luce nell’opinione pubblica una dinamica spesso frequentata in ambito giuridico e criminologico e assai presente nelle politiche criminali di molti Paesi, ovvero la tendenza ad individuare un capro-espiatorio, un unico responsabile, sollevando l’individuo e la collettività da ogni responsabilità che risulta così del tutto neutralizzata.
Dall’altro, le inefficienze organizzative che portarono alla sconfitta raccontano delle complesse dinamiche delle società moderne nelle quali sempre più l’individuo si trova ad operare all’interno di realtà collettive dove la responsabilità viene frazionata e parcellizzata e dove l’azione umana non è più solamente espressione del singolo ma viene a definirsi anche nell’interazione con il contesto.
In questo senso, la letteratura della Grande Guerra non offre solo spunti per impedire che si verifichino difetti organizzativi, ma si caratterizza per essere uno strumento di Giustizia, vista la tensione alla ricerca dell'individualità anche nella massima tragedia della massa sbandata che tutto sembra annullare, anche l'umanità dei singoli (nella foto a sinistra versione manoscritta del Bollettino di Cadorna).