“Gli uomini, caro Bruto, sono responsabili del proprio destino. La colpa non è nelle stelle, ma in noi”
Parole tratte dal Giulio Cesare di William Shakespeare, che sono riecheggiate nell’Aula Magna della Cattolica per l’ormai consueto appuntamento con Letteratura & Teatro, coordinato dalla professoressa Lucia Mor.
L’opera, presentata dal professor Franco Lonati, docente di Letteratura inglese, venne realizzata appena prima delle principali tragedie di Shakespeare, ovvero nel 1599. Un anno che si colloca in un periodo storico cruciale. A cavallo tra Cinque e Seicento va, infatti, in frantumi quella “granitica” visione del mondo basata sulla certezza di un ordine costituito, che si “sgretola” progressivamente sotto i colpi delle diverse scoperte scientifiche, geografiche e delle nuove idee religiose. L’uomo, che fino a quel momento si percepiva al centro di un quadro definito e immutabile, iniziò a reputarsi più responsabile del proprio destino.
Da questa fase in poi Shakespeare diede ai suoi personaggi la possibilità di scegliere e, quindi, anche di sbagliare. Non a caso, il Giulio Cesare venne definito come il “dramma del libero arbitrio”, anche se Lonati preferisce interpretarlo come una “manifestazione del senso di responsabilità”.
In quest’opera non mancano punti di riflessione sui temi della libertà e della giustizia. Oltre alla crisi di quello che era il modello di pensiero del tempo, Shakespeare fu soggetto ad una crisi artistica, che lo vide alla ricerca di uno stile nuovo.
Il Giulio Cesare è un dramma scritto in modo ordinato e chiaro, definito dal professor Lonati come il migliore - filologicamente parlando - tra i testi di Shakespeare. Inoltre, si tratta di un’opera particolarmente memorabile perché fu la prima messa in scena al Globe Theatre di Londra, (demolito nel 1642 e oggi ricostruito come Shakespeare Theatre).
Rimane sempre aperta la discussione su chi sia il vero protagonista del romanzo: Cesare o Bruto? Il primo dà il via a tutta l’azione, il secondo rappresenta un dramma di conflitto interiore. Il più accreditato come protagonista è Cesare, che però spiazza i lettori morendo a poco più della metà del romanzo.
Cesare viene ucciso durante una riunione del Senato; tra gli assassini vi è anche Bruto, al quale Cesare si rivolge pronunciando la celebre affermazione: “Tu quoque Brute, fili mi”. L’imperatore viene, dunque, tradito da una persona che riteneva fidata. Il perno attorno al quale ruota il dramma è, dunque, l’assassinio di Cesare.
L’attore Antonio Palazzo, attraverso la sua coinvolgente interpretazione dei punti salienti, ha messo in luce quanto la retorica sia un aspetto rilevante all’interno dell’opera. Cesare predilige discorsi magniloquenti, Cassio utilizza un linguaggio insinuante, Bruto ha uno stile di retorica più razionale e, infine, Marco Antonio ha invece un tono sarcastico nei suoi discorsi.
L’arte della retorica è di primaria importanza in questo dramma d’impronta fortemente politica, poiché la persuasione è percepita come necessaria per far valere le proprie idee politiche e, dunque, per influenzare i pareri dei cittadini e le loro azioni.
Shakespeare volle evidenziare il rapporto conflittuale tra democrazia e regime autoritario, sempre presente nella storia e ancora attuale. Il Giulio Cesare è un esempio di come la lettura di un’opera del passato ci permetta di vivere il presente in modo più consapevole.