Per compiere un viaggio nelle utopie appenniniche occorre abbandonare la tradizionale lettura di un’Italia orizzontale (sa cui derivava una triplice ripartizione: Nord, Centro e Sud) a favore di una lettura verticale. Questa specie di capovolgimento ottiene l’effetti di moltiplicare le aree geografiche, che da tre diventerebbero almeno cinque: la fascia di un levante adriatico (che inizia a Trieste e termina a Lecce), la fascia di un ponente ligure-tirrenico (che inizia a Ventimiglia e termina a Reggio Calabria), la dorsale appenninica (che costituisce la colonna vertebrale dello Stivale), la grande pianura padana e l’arco delle Alpi.
Questo tipo di lettura permette di individuare, almeno da un punto di vista antropologico, una comune identità in chi abita dentro il grande bacino padano, che Sebastiano Vassalli ha paragonato al mare (nella Chimera, 1990) o lavagna (in Terre selvagge, 2014), o di chi vive lungo le direttrici del levante adriatico (cioè di chi ha le spalle all’entroterra e guarda verso Sparta, Atene, Troia, Gerusalemme, Bisanzio-Costantinopoli, il deserto, il Catai dove spinge Marco Polo e da dove arriva la bella Angelica di Ariosto) o del ponente ligure-tirrenico (di chi ha le spalle a un altro entroterra e guarda al tramonto, alle Colonne d’Ercole, all’Atlantico, al Nuovo Mondo). Ciò consente anche di verificare con altissima probabilità di successo l’incidenza del fattore spazio (e non più del fattore tempo) nelle scelte letterarie. Le quali spesso non obbediscono soltanto alle ragioni della Storia, ma alla conformazione del terreno, alla natura dei luoghi che determina trasversalmente l’insorgere di alcuni fenomeni, alla disposizione dei fiumi (cito i nomi di almeno tre scrittori “idraulici”: Claudio Magris, Guido Conti, Raffaele Nigro). Faccio un esempio extraletterario. Non si può ignorare, tanto nel Novecento quanto nei secoli passati, che l’Appennino ha fornito lo scenario per numerose utopie religiose, gran parte delle quali con i caratteri di un’ortodossia evangelica - Nomadelfia di Zeno Saltini, la comunità di Monte Sole di Giuseppe Dossetti, la Cittadella di Assisi - e dove hanno trovato ospitalità figure come esemplari quelle di Gioacchino da Fiore o di Celestino V.
Scrive Silone nell’Avventura di un povero cristiano (1975): «il mito del Regno non è mai scomparso dall’Italia meridionale, questa terra di elezione dell’utopia. La storia dell’utopia è in definitiva la contropartita della storia ufficiale della Chiesa e dei suoi compromessi col mondo. Non per nulla la Chiesa, da quando si fondò giuridicamente e si sistemò col suo apparato dogmatico ed ecclesiastico, ha considerato sempre con sospetto ogni resipiscenza del mito. Dal momento che la Chiesa presentò se stessa come il Regno, essa ha cercato di reprimere ogni movimento con tendenza a promuovere un ritorno alla credenza primitiva. L’utopia è il suo rimorso. L’avventura di Celestino V si svolse, per un lungo tratto, nell’illusione che le due diverse vie di seguire Cristo si potessero ravvicinare e unire». L’utopia è il rimorso della Storia. L’Appennino denuncia il fallimento della Storia (che si pente per le sue inadempienze) celebrando l’utopia come mito dell’attesa, come tensione per un altrove geografico che può anche essere sfuggente, ma che esiste. E ce lo conferma di nuovo Silone in Uscita di sicurezza (1965): «Quanti, rimasti sempre qui e qui sepolti [sull’Appennino], han vissuto sospirando isole lontane, città remote; mentre il mal del paese è l’ossessione degli emigranti». La citazione coglie l’immaginario di chi vive sull’Appennino: sospirare le isole lontane, dunque sognare viaggi per un altrove favoloso, ma poi, una volta raggiunto questo altrove favoloso, sentire nostalgia del paese. Per entrambi i casi si tratta di una condizione tutt’altro che felice, spesso in uno stato di sospensione, scissa tra l’andare e il tornare, tra il rimanere e il partire. Ciò determina quel senso di spaesamento raccontato da Silvio D’Arzo in Casa d’altri (1952), a cui non si può opporre alcuna resistenza, se non l’idea della fuga o della reinvenzione di una geografia.
* Docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea