Un tempo li si chiamava “cinema parrocchiali”, oggi “Sale della Comunità”. Nonostante gli anni, le crisi, le trasformazioni tecnologiche, i cambiamenti degli spettatori, il circuito delle sale cattoliche sta vivendo un momento di rinnovata centralità come «presidio culturale di tante piccole comunità italiane», come afferma il ministro dei Beni e delle attività culturali Dario Franceschini, e mostra una grande capacità di rigenerare la propria esperienza. A questo fenomeno è dedicato il volume I nuovi Cinema Paradiso (Vita e Pensiero, 2017) che verrà presentato mercoledì 3 maggio alle 16 in aula Negri da Oleggio a Milano.
Il libro raccoglie i risultati di una ricerca promossa dall’Associazione Cattolica Esercenti Cinema (Acec) e svolta dall’Università Cattolica. Lo studio ha coinvolto ben 272 responsabili di Sale della Comunità e 168 parroci in tutta Italia, offrendo un’immagine ricca e aggiornata di questa realtà paradigmatica e analizzando le sue attività, le reti di relazioni attivate e i servizi resi alla comunità civile ed ecclesiale.
In un quadro di contrazione dell’esercizio cinematografico, le Sale della Comunità sembrano aver trovato un equilibrio, un modello di sostenibilità che si manifesta sia nella resistenza nel tempo (il 33% delle Sale opera da 41-60 anni e addirittura il 17% è attivo da più di 60 anni), sia in un’estensione della rete: l’11% delle Sale censite sono state aperte (o riaperte) negli ultimi 10 anni.
Questo modello poggia su alcuni tratti distintivi. Il primo è la distribuzione sul territorio. I cinema parrocchiali funzionano infatti in chiave compensativa, andando a collocarsi in aree spesso sprovviste di sale e in cui la domanda di cultura e di momenti di incontro e di socializzazione si esprime con maggiore forza: nei paesi con meno di 5.000 abitanti (che ospitano in 19% delle Sale della Comunità) o nelle periferie dei grandi centri urbani (dove sono ubicate il 13% delle Sale).
Il secondo tratto è la polifunzionalità, l’uso di spazi, strutture, idee ed energie personali per una molteplicità di attività diverse: il cinema, certo, ma anche (in quasi il 60% dei casi) il teatro, gli spettacoli musicali dal vivo e i cicli di conferenze, spesso dedicate a temi emergenti, importanti dal punto di vista civile e in grado di suscitare dibattito.
In questa prospettiva il digitale è stato certamente un’occasione di cambiamento obbligato, colta rispondendo alla mutazione del paesaggio mediale. Ma ha assunto anche il ruolo di un vero e proprio volano che ha permesso alle Sale di concretizzare quella sollecitazione alla «polivalenza» e all’uso di «ogni strumento di comunicazione» che gli veniva anche dai documenti ecclesiali costituitivi.
Il terzo tratto è l’ascolto e il dialogo con gli altri operatori sociali e culturali. Anche per ragioni pratiche, le Sale si mostrano disponibili a collaborare con le amministrazioni pubbliche, con le scuole, con le associazioni che operano sul territorio, partendo dal più semplice gesto di ospitare nei propri spazi le iniziative lanciate da altri, fino alla progettazione comune, soprattutto con scuole e con altre sale.
Il dialogo e l’apertura emergono anche dalle modalità di gestione della Sala improntate alla partecipazione. Il 96% della Sala è diretto da un gruppo di gestione: vere e proprie comunità, ampie (nel 50% dei casi con più di 10 persone) e aperte al contributo anche di chi non frequenta la parrocchia e dei giovani. Luoghi dunque di dialogo, di scambio e di confronto: culturale, intergenerazionale, sociale.
A partire dai risultati della ricerca, il volume ospita anche una serie di riflessioni sul futuro del cinema in Italia con una serie di letture Federico di Chio, Fabrizio Fiaschini, Carlo Fontana, Silvano Petrosino, Luigi F. Pizzolato, Bruno Zambardino e la post-fazione di Mons. Dario E. Viganò.