di Stefano Folli *
L’ex governatore della Banca d’Italia, ex premier e ministro del Tesoro, rappresenta la ritrovata credibilità internazionale dell’Italia. È l’artefice dell’ingresso del Paese nell’euro e anche per questo è in grado di rappresentare meglio di ogni altro, nella nuova fase storica, il ruolo di “garante dell’unità nazionale”.
Molto è stato scritto sullo stile di questa presidenza (ottimo al riguardo è il recente libro di Paolo Peluffo). Quello che forse va sottolineato è che Ciampi riesce a riassumere in sé, in una forma moderna, alcune delle caratteristiche dei suoi predecessori. È evidente che si ispira a Einaudi nel senso rigoroso dello Stato, ma anche che l’esperienza di Pertini non è passata invano. Dopo il vecchio socialista, l’ex governatore è il più attento al rapporto quotidiano con gli italiani. E ai simboli di tale rapporto. Con spirito mazziniano, educa all’amor di Patria, fa cantare l’inno di Mameli, si richiama al Risorgimento.
Soprattutto gira tutte le province italiane e stabilisce con la gente un contatto diretto che ne fa un personaggio dalla popolarità straordinaria. Al tempo stesso, coltiva l’idea di un bipolarismo “maturo”, non più sottoposto a micidiali scossoni. Non è uomo da “grande riforma”, come fu Cossiga, ma è un deciso fautore del rinnovamento istituzionale, da attuare senza stravolgimenti della Carta.
In particolare Ciampi è una figura positiva, nel senso che è fortemente motivato dall’ottimismo e si rifiuta di rassegnarsi al “declino” del Paese, anzi della Nazione, secondo il termine da lui preferito in ogni occasione. Questo elemento dell’ottimismo è peculiare e rende il settennato ciampiano diverso da tutti gli altri. Il presidente riesce a infondere fiducia negli italiani e tenta di fare lo stesso con una classe politica per la verità poco incline a farsi aiutare. È vero però che con Ciampi al Quirinale il bipolarismo si afferma nella coscienza collettiva.
Si avvia una sofferta maturazione dei due schieramenti, nel riconoscimento che la storia d’Italia è complessa e che tutti i fenomeni, a cominciare dal “berlusconismo”, vanno ricondotti dentro una forte cornice istituzionale. Il che implica rispetto vicendevole e legittimazione reciproca. Se l’Italia prima o poi uscirà dalla transizione infinita, molto lo dovrà a Ciampi. Alla sua capacità di usare il potere “morale” della presidenza, senza sottovalutare il potere concreto di influenzare gli eventi politici con atti meditati.
* giornalista, attualmente editorialista di “Repubblica”. “Com’è cambiato il Quirinale, da Pertini in poi”, Vita e Pensiero, 1/2008.