Osservare lo stato di salute dell’Unione europea attraverso gli occhi delle donne che dell’Ue sono parte integrante. È il tema alla base dell’incontro organizzato all’Università Cattolica di Milano “Donne ed Europa, Donne in Europa”, per capire quale strada abbia intrapreso e se sia il caso di cambiare il progetto politico europeo.
Un progetto politico, nato dopo le atrocità della seconda guerra mondiale, che doveva aprire una nuova era fatta di pace e collaborazione ma che oggi, colpita da nazionalismi e sovranismi, rischia di iniziare a sgretolarsi. La Brexit britannica è stato il primo segnale d’allarme che qualcosa non stava più andando nella giusta direzione, come spiega Beatrice Covassi, Capo della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea: «È stata la sveglia, da lì abbiamo capito che non si poteva andare più avanti. Era, ed è, fondamentale cambiare marcia e collaborare con gli Stati membri, era necessario usare un altro approccio».
Un distacco dalle istituzioni europee che coinvolge in primo piano l’Italia: «Bisogna chiedersi – spiega Covassi – come mai e per quale ragione sia cambiata così tanto la percezione europea nel nostro Paese. Noi che siamo stati tra i Paesi fondatori. L’Europa non è più vista come garanzia di giustizia e parità ma come un nemico da battere. Ha perso la sua funzione di garante di libertà e diritti».
In questo scenario, le elezioni europee di maggio 2019 possono rappresentare un termometro molto preciso che indichi quanto sia acceso il sentimento europeo: «Saranno uno spartiacque e ci sarà un grande confronto tra chi crede che l’Europa debba essere riformata sotto molti aspetti, ma pur sempre unita, e chi crede invece che bisogni tornare indietro, l’Europa delle Nazioni e dei Sovranismi: vedono in questo ritorno al passato l’unica soluzione futura» aggiunge Covassi.
Una soluzione che però non è quella corretta: «Adesso serve, forse come mai prima, un’Europa che torni a parlare alle persone, anche se ovviamente questo è molto più difficile rispetto a chi porta avanti retoriche di distruzione. È vitale trovare unità tra tutti i Paesi». Covassi elenca quelle tre vie che possano permette all’Europa di ritrovarsi: «Prima di tutto serve consapevolezza. Bisogna rendersi conto che in Europa si sta bene, è un posto dove si vive bene. Ovviamente ha i suoi limiti, ma la qualità della vita, a livello economico e ambientale, è ottimo. Una qualità che riguarda anche le imprese: fare impresa in Europa vuol dire non mettere mai da parte l’aspetto umano, il rispetto per l’uomo e per l’ambienta, anche al netto di tutti i limiti che le dinamiche continentali impongono».
Oltre a questo, serve «fare di tutto per arrivare alle periferie, oggi molto passive. Bisogna parlare a tutti, soprattutto a chi oggi sente le istituzioni di Bruxelles come un organo che non ha niente a che fare con loro. Per farlo, oltre che cambiare l’approccio comunicativo, è necessario un nuovo modo di fare politica, ed è questo il terzo punto». Beatrice Covassi aggiunge poi una riflessione che riguarda sì l’approccio politico in Europa, ma non solo: «Oggi manca la capacità di fare squadra. È un grosso limite. Chi crede nell’Europa oggi fatica a trovare una figura politica di riferimento. Dobbiamo riuscire a capire quali siano i temi prioritari per tutti, quelli che superano le varie diatribe tra partiti. Due sicuramente sono lo sviluppo digitale e il rispetto ambientale. Se riuscissimo a fare così, sarebbe sicuramente più facile affrontare le molte problematiche dell’Europa e dell’Italia».
Una ricetta che deve cambiare il modo di guardare alla politica e che è riassunta così da Beatrice Covassi: «La paura è un sintomo, non una risposta ai problemi. Oggi manca un riferimento per tutti quelli che vogliono mobilitare e riattivare le persone a un futuro europeo».