di Elisa Ursini *
Sarà paradossale ma non sono mai stata in grado di pronunciare bene il nome della città che mi avrebbe ospitato per cinque mesi e che poi sarebbe diventata una seconda casa. Sono partita per Västerås, in Svezia, ad agosto, con in testa mille e più pensieri.
All’inizio non è stato semplice: non conosci la lingua, vivi in una stanza vuota che, presto, diventerà casa per i prossimi cinque mesi e in una città, seppur piccola, tutta da scoprire. Il silenzio invade le strade, tutto è ordinato, tutto e tutti sono silenziosi. Era una situazione nuova da affrontare e allo stesso tempo piacevole per una ragazza nata e cresciuta nel chiacchiericcio delle persone e nel rumore e nel caos di Roma.
Västerås è un’ora da Stoccolma, piccola ma accogliente. Le persone parlano principalmente svedese. Non è stato facile all’inizio, pronunciare anche solo parole di uso quotidiano.
Dopo i primi giorni in una nuova città, si inizia a prendere familiarità con le strade, gli orari dei negozi, le persone, la lingua. Si inizia a legare di più con le persone che sono nella tua stessa situazione e, quindi, una ragazza tedesca, una francese e tanti altri possono diventare una seconda famiglia.
Erasmus per me significa proprio questo: sentirsi accettati, come in una famiglia, da altre persone che condividono la stessa esperienza, la stessa vita, anche se per un periodo di tempo limitato. Partecipare a quest’esperienza mi ha fatto capire quanto importante sia essere e sentirsi europei. Quanto noi ragazzi e ragazze europei siamo fortunati a esserlo e, molto spesso, non apprezziamo questa fortuna.
Essendo stata in Svezia non potevo farmi sfuggire la gita nella Lapponia Finlandese. Anch’essa un’esperienza nell’esperienza. Cinque giorni immersi in uno spettacolare paesaggio innevato. Ho avuto la possibilità di guidare i cani da slitta, di essere portata dalle renne su una slitta immersa in un paesaggio immacolato e fare un’escursione nella neve nel Pyha National Park. Mai dimenticherò quei giorni.
Il vantaggio di essere stata in una città molto più piccola, e diversamente organizzata, da Roma, è sicuramente stato lo spostamento per raggiungere i posti nella città. Le mie gambe erano il veicolo che ho sempre utilizzato, ad eccezione della bicicletta naturalmente. Gli spostamenti erano brevi e soprattutto per andare all’università erano dieci minuti a piedi. Qualcosa di mai immaginato prima.
Sono stata cinque mesi a Västerås e inizialmente mi sembravano tanti ma, quando inizi a prendere confidenza con la città e a vivere la quotidianità, ecco che il tempo corre veloce. Ho vissuto l’autunno e l’inverno, il freddissimo inverno. Ho apprezzato i veri colori dell’autunno e la neve che cade e copre tutto, lasciando la città in un silenzio assordante. È un’immagine mozzafiato.
La Svezia non offre molte specialità culinarie, ma, una bisognava provarla: il pesce crudo chiamato Surströmming. Un odore acre ti colpisce appena aperta la scatoletta che lo contiene e mangiarlo è stato, forse, anche peggio. Nonostante questo, sono felice di averlo fatto.
Di questa esperienza mi mancherà tutto: dagli amici conosciuti con cui si sono spesi pomeriggi per organizzare gite alla scoperta del bellissimo paesaggio svedese, e con cui si sono condivise risate, giochi e a volte malinconia, al saluto delle persone svedesi che ti accolgono ovunque vada con il loro inconfondibile Hej Hej!
* 25 anni, di Roma, corso di laurea in Management dei servizi, facoltà di Medicina e chirurgia - Economia, campus di Roma