«Chi studia deve fermarsi a riflettere, letteralmente fermarsi e flettersi. Per questo è importante cogliere i problemi legati alla comunicazione, soprattutto in un contesto universitario che stimola e agevola la riflessione sulle parole». È l’appello lanciato da Silvano Petrosino, docente di Filosofia della comunicazione e Filosofia morale nella sua brillante conversazione sul tema “La mistificazione dei Social. La responsabilità nella comunicazione”.
Una lezione aperta, quella del 2 ottobre, che rientrava nell’ambito degli eventi del Festival della Dignità Umana e riguardava un argomento oggi molto sentito, un tema civile che incide nel tessuto sociale, come ha detto il professor Roberto Cicala, docente del laboratorio di editoria, nell’introdurre l’incontro.
Per il professor Petrosino, in via preventiva, occorre evitare di cadere nella trappola di considerarsi pro o contro i social, dire se la Rete sia buona o cattiva, se si stava meglio prima (che non è neppure vero). Si possono fare tutte le critiche possibili, ma la nuova tecnologia avanza sempre più.
Cosa vuol dire allora comunicare oggi? Comunichiamo solo perché abbiamo sempre tra le mani cellulare, computer, Rete, e inondiamo il mondo di messaggi? Questo rappresenta un trasferimento di comunicazioni, ma non la comunicazione. I nostri testi arrivano ai destinatari ma non è detto che essi li aprano, li capiscano, li considerino.
L’uso smodato del cellulare non indica una comunicazione ma un utilizzo per la propria gratifica: «La ragazza che in treno, su un percorso di 100 km telefona ogni 10 km alla mamma per dire che va tutto bene, peraltro facendo ascoltare a tutti le sue conversazioni (invece quando si parla al cellulare sarebbe buona norma appartarsi), non fa comunicazione, al più comunica insicurezza. Lo stesso dicasi per i ragazzi che guardano lo schermo del cellulare 2.000 volte al giorno, come alcune ricerche hanno dimostrato».
Il tema della comunicazione è legato a quello della relazione. Nell’ambito delle nostre relazioni, prevalgono il senso di colpa, le aspettative, il fagocitare l’altro, ma questa non è comunicazione.
Si prenda in esame il caso dei social e delle tante “amicizie” con cui ci connettiamo: «Ma il termine è improprio, nella vita non si possono avere centinaia di amici se si dà al termine amicizia quello che i pensatori classici, i filosofi greci in particolare, davano a questo concetto che necessariamente sottende il rapporto con poche e qualificate persone».
Si consideri anche il tema del tempo: «Oggi la gente è abituata a sentirsi al centro del mondo. Ogni richiesta richiede risposta celere. Se mi inviano una mail e dopo cinque minuti il mittente non riceve risposta, subito chiama per chiedere come mai».
La nostra comunicazione tende ad essere autoreferenziale, a mettere sempre al centro quello che si fa: «Dobbiamo indossare non tanto lo strumento per contare i passi, ma uno strumento che conta gli ‘io’ che pronunciamo. La comunicazione responsabile allora è il tu, è l’altro».
Il buon comunicatore è colui che ascolta e chi ascolta riesce a cogliere il messaggio oltre la mera facciata superficiale. Infatti tiene conto dell’altro, si adegua all’altro, lo ascolta per riuscire a capire come deve comportarsi per rendersi comprensibile. Comunicazione responsabile allora anche tramite le parole: «In definitiva le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste», ha concluso il prof. Petrosino citando R. Carver.