Il welfare edificato sulla Costituzione del ’47 regge ancora alle sfide del XXI secolo? Come si pone di fronte a reddito di cittadinanza, frammentazione del lavoro, scomparsa del posto fisso? Ha preso le mosse da questi interrogativi l’incontro promosso in occasione della presentazione del volume “Ripensiamo lo stato sociale” (Cedam), del giudice costituzionale Giulio Prosperetti, già professore ordinario di Diritto del lavoro dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.
L’iniziativa, organizzata dal master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (Mucl) e dal Centro europeo di diritto del lavoro e relazioni industriali (Cedri) in collaborazione con l’Associazione nazionale consulenti del lavoro di Milano (Ancl), si è svolto venerdì 24 gennaio nella Cripta Aula Magna dell’Università Cattolica. Un’occasione per riflettere a 360 gradi sull’evoluzione dello Stato sociale e per esaminare tutti i temi che sono all’ordine del giorno: il reddito di cittadinanza, la disciplina del lavoro, i servizi per l’impiego e tutte le altre provvidenze che il welfare state è andato costruendo negli ultimi anni.
Intervenendo per un saluto istituzionale il rettore Franco Anelli ha dichiarato apprezzamento per il titolo del volume che in quel “Ripensiamo lo stato sociale” richiama una responsabilità e un impegno per ciascuno. Ha poi commentato che lo Stato oggi è essenzialmente sociale, prima di esprimere autorità. Mentre lo Stato prebellico si occupava prevalentemente di spese militari o dei deliri estetici dei sovrani, ed era indifferente alle miserie della popolazione, l’attuale Stato si occupa di sanità, opere pubbliche, erogazioni di tipo sociale: «Per questo oggi va ripensata la repubblica fondata sul lavoro, dato che lo scenario del lavoro, e della sua assenza, sta mutando radicalmente».
«Si tratta appunto di capire se alcune strutture del welfare sono ancora attuali o se invece richiedono un profondo ripensamento», ha fatto eco Vincenzo Ferrante, docente di Diritto del lavoro nella facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo e tra i promotori dell’iniziativa. E ha spiegato: «Lo stato sociale così come si è venuto formando sulla Costituzione del ’47 e sulle tradizioni del ventesimo secolo si trova adesso a fronteggiare la sfida di un lavoro che cambia, che diventa sempre più precario, sempre più flessibile, sempre più internazionalizzato. Basti pensare alla differenza tra retribuzione corrispettiva e integrativa (non previdenziale), e ai conflitti tra lavoro subordinato e autonomo (gli autonomi sono 5 milioni e mezzo, i subordinati 18 milioni, con un rapporto di quasi 1 a 4, indice evidente di come il panorama lavorativo non si esaurisce nel rapporto di lavoro subordinato). E ancora: «Al cumulo tra reddito e pensione, al finanziamento del sistema della previdenza sociale che non considera la capacità della società di produrre ricchezza, al sistema di contrasto alla disoccupazione tra lavoratori socialmente utili e lavoro nero. Si tratta di ripensare la Repubblica fondata sul lavoro in relazione a coloro che non lavorano, i cosiddetti ‘surfisti di Malibù’, gli oziosi di cui lo Stato si deve fare carico, coloro che sono ai margini, senza partecipare alla creazione di valore, gli inabili che hanno diritto ad essere mantenuti».
L’esigenza di ripensare culturalmente e giuridicamente il sistema di welfare e i suoi strumenti, gli effetti causati dalla globalizzazione in uno scenario connotato da forte dumping sociale, la necessità di rivedere i criteri di finanziamento del sistema previdenziale nella società post-industriale, l’evoluzione dello stesso concetto di retribuzione: sono solo alcuni delle questioni affrontate nel volume del giudice costituzionale e riprese dai relatori che lo hanno presentato, contemperando anche un opportuno quanto inedito confronto tra economisti e giuristi.
Infatti Lorenzo Cappellari, docente di Economia politica nella facoltà di Economia, nella sua relazione su mercato del lavoro e trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze, ha individuato le diverse finalità che sono finite sotto il cappello del reddito di cittadinanza come la lotta alla povertà, un reddito minimo, un salario per un lavoro socialmente utile, e l’importanza dell’apporto di famiglia e scuola alla formazione.
La professoressa Simona Beretta, docente di Politica economica nella facoltà di Scienze Politiche e sociali e direttrice del Centro di Ateneo per la Dottrina Sociale della Chiesa, si è soffermata sul “ripensare il lavoro in una prospettiva etica” in una visione d’insieme dei problemi per cui il dialogo interdisciplinare è indispensabile. «Tra new economy, lavori a progetto, lavori di piattaforma, il lavoro può essere definito spazio di libertà in azione. E come ha detto Papa Francesco “non reddito per tutti, ma lavoro per tutti”».
Tornando ai giuristi, Enzo Balboni, docente di Diritto pubblico comparato, ha fornito una lettura delle più recenti trasformazioni sociali dal punto di vista del diritto costituzionale, e – circa il dibattito in essere – ha ricordato gli insegnamenti su tale tema da parte della scuola dei giuslavoristi della Cattolica da Lodovico Barassi a Luigi Mengoni fino a Tiziano Treu e Mario Napoli.
Ha concluso il dibattito il giudice costituzionale Giulio Prosperetti, lieto che il suo libro abbia acceso il dibattito su un argomento che mancava di unitarietà, in quanto il dato sociale era sganciato dal dato giuridico. «La crisi non è crisi economia ma giuridica, occorre trovare occasioni di lavoro che non sono quelle usuali, ma il lavoro va sempre sviluppato e difeso».