Il diritto è neutrale e imparziale. C’è però uno scontro riguardante le operazioni di salvataggio dei migranti: il valore della vita umana contro il principio di sicurezza dello Stato. Tutti ricordiamo le vicende delle navi Open Arms e Iuventa, in cui diritti fondamentali di cui tutte le persone godono sono entrati in conflitto con gli interessi di una nazione.
Un tema che ha fatto discutere l’opinione pubblica e che è stato al centro della conferenza che ha messo a confronto, in largo Gemelli, Nicola Canestrini e i professori Gabriele Della Morte e Francesca De Vittor. Canestrini, avvocato penalista, è impegnato nella difesa dell’equipaggio della nave Iuventa dalle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e, più recentemente, di violenza privata.
L’obbligo di soccorso in mare è imposto sia dal diritto internazionale consuetudinario sia dalle principali convenzioni internazionali pertinenti, prima fra tutte la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (CNUDM). La Libia non ha ratificato la CNDUM per una questione relativa al tracciato delle linee di base che non ha nulla a che fare con gli obblighi di soccorso. Essa ha invece ratificato la Convenzione sulla ricerca e il soccorso (SAR, Search and Rescue). Tuttavia, nonostante la dichiarazione unilaterale libica per la determinazione di una sua zona SAR nella quale la Libia sarebbe responsabile per il coordinamento dei soccorsi, l’effettività di tale zona è fortemente contestata. Infatti, inizialmente tale zona è stata dichiarata in assenza persino di un centro di coordinamento dei soccorsi (MRCC), in seguito tale centro è stato formalmente istituito ma di fatto non funziona correttamente ponendo lo stato libico in palese violazione della Convenzione SAR e lasciando quindi agli altri Stati contraenti, tra cui l’Italia, la responsabilità dei soccorsi.
È inoltre di pubblico dominio, e accertato anche da vari documenti ufficiali e rapporti delle Nazioni Unite, che in Libia sono commesse nei confronti dei migranti gravissime violazioni dei diritti umani. Per cui il Paese nordafricano non può essere considerato un porto sicuro di sbarco per le persone soccorse in mare.
Altrettanto accertati sono i rapporti di collusione tra la cosiddetta Guardia Costiera libica e gli scafisti. In questa situazione è totalmente illegittima la pretesa della Libia di escludere dalla zona SAR da essa proclamata le navi delle Ong. Per quanto concerne gli obblighi degli altri Stati coinvolti, e in particolare dell’Italia, a tutti la Convenzione SAR impone di cooperare al fine di garantire l’effettività dei soccorsi in mare e lo sbarco di tutte le persone soccorse, indipendentemente dalla loro nazionalità o dal loro status, in un luogo sicuro.
È in questo scenario che devono essere collocati i due casi di Open Arms e Iuventa. Quanto a Open Arms, l’avvocato Canestrini ha precisato che le indagini preliminari si sono concluse l’11 dicembre 2018 con il deposito dell’avviso ai sensi dell’art. 415bis del codice di procedura penale. Dopo l’archiviazione del reato associativo, ora viene contestato il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e l’accusa di violenza privata, per aver tentato di costringere lo Stato italiano ad accogliere i migranti.
Iuventa è stata posta sotto sequestro preventivo da parte del GIP di Catania il 2 agosto 2017. Anche in questo caso, i reati contestati sono di associazione a delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione così contestato porterebbe a una pena pari a venti anni di reclusione e a una multa all’armatore pari a 15mila euro per migrante imbarcato. E, nell’anno in cui vengono contestati tali reati all’equipaggio, le persone salvate sono state 14mila.
Il caso Iuventa è ulteriormente complicato dal ruolo che il mezzo di soccorso ricopriva nelle operazioni SAR: l’imbarcazione dell’Ong Jugend Rettet faceva la spola tra i migranti soccorsi e le navi più grandi di altre Ong, nello specifico Save the Children e Medici Senza Frontiere. L’equipaggio è formato da volontari, ragazzi che, nei periodi in cui non studiano, dedicano il proprio tempo ad aiutare a salvare le vite di chi scappa dalle torture delle carceri libiche. Non solo, Jugend Rettet non ha mai firmato il codice di condotta emanato dal Governo italiano. Il Codice, che però non è un atto formalmente vincolante e rispetto al quale il rifiuto di sottoscriverlo da parte della Ong è perfettamente lecito, prevede, tra le varie richieste, il divieto di trasbordo dei migranti dalla nave che effettua il soccorso verso navi più grandi e adeguate al trasporto di molte persone, rendendo i soccorsi meno efficaci e impedendo proprio l’attività principale di Iuventa.
Un’altra richiesta che Iuventa rifiuta è quella di tenere personale di polizia a bordo. Inoltre, il Governo italiano avrebbe voluto che le Ong mantenessero una certa distanza dalle acque territoriali libiche, poste a 12 miglia, mentre Iuventa si posiziona a ridosso di questa linea, a 15 miglia. Proprio con riferimento a quest’ultimo aspetto, secondo l’avvocato Canestrini parlare di pool factor, ovvero la possibilità che il collocamento in prossimità del confine, avrebbe incoraggiato gli scafisti a mettere in acqua le bagnarole, sarebbe errato.
L’indagine è tutt’ora in corso. L’accusa ha portato prove fornite da security contractors e successivamente da un poliziotto infiltrato a bordo di una nave di un’altra Ong, intercettazioni ricavate durante il periodo da maggio 2017 al 2 agosto dello stesso anno e foto che documenterebbero i rapporti tra la Ong e gli scafisti. La difesa ha invece consegnato tutte le prove a un laboratorio di analisi forense che sta ricostruendo l’accaduto. In attesa di come andrà a finire.