«Una migliore conoscenza dello scenario religioso dei Paesi di provenienza aiuterebbe le nostre comunità cristiane non solo a rispondere in maniera più puntuale ai bisogni spirituali e pastorali dei migranti, ma anche e soprattutto a metterne a frutto il potenziale come strumento di evangelizzazione». È quanto afferma la professoressa Laura Zanfrini, docente di Sociologia delle migrazioni alla facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Ateneo, alla vigilia del Sinodo minore della diocesi di Milano “La chiesa dalle genti”, che prenderà il via domenica 14 gennaio, con la celebrazione nella Basilica di Sant’Ambrogio.
La sociologa (nella foto a fianco con mons. Mario Delpini e don Davide Milani), insieme alla collega Monica Martinelli, è stata chiamata a far parte della Commissione appositamente costituita, cui è affidato il coordinamento del Sinodo indetto dall’arcivescovo monsignor Mario Delpini. E a tracciare il quadro delle straordinarie trasformazioni che hanno investito, negli ultimi decenni, il territorio della diocesi ambrosiana, facendone uno dei principali crocevia di lingue, culture e religioni nel panorama italiano ed europeo contemporaneo: «un laboratorio di sperimentazione della convivenza interetnica e interreligiosa, un precursore di innovazione per tutte le iniziative legate al tema delle migrazioni e della mobilità internazionale».
I numeri snocciolati dalla professoressa Zanfrini parlano chiaro: la presenza straniera nella diocesi di Milano è passata da circa 100mila unità nel 1988 (in buona parte – allora – irregolari nel soggiorno) agli attuali 754mila (senza considerare gli stranieri nel frattempo acquisiti alla cittadinanza italiana) al 1° luglio 2017 (dati Ismu). In termini di incidenza sul totale della popolazione, si è conseguentemente passati da meno del 2% al 13,4% attuale.
È andata via via modificandosi anche la composizione della popolazione immigrata – dal punto di vista del genere, dell’età, della nazionalità di origine –, così come sono cambiati i modelli di insediamento sul territorio. «Se tre decenni fa la popolazione migrante era molto più spesso di sesso maschile (filippine a parte), giovane o adulta ma raramente con figli e in Italia soprattutto per motivi lavorativi, e spesso viveva in coabitazione in piccoli alloggi sovraffollati, oggi siamo di fronte a un pressoché totale equilibrio numerico di genere, a famiglie ricongiunte, con molti più giovani da una parte – e studenti, e neonati – e più anziani dall’altra, persone che sono nella diocesi di Milano ormai da parecchi decenni o – anche – che oggi ivi immigrano in età più avanzate (si pensi alle assistenti domiciliari est-europee)».
Altri dati interessanti riguardano le fasce d’età e la scolarizzazione: «Nel complesso dei Comuni che compongono il territorio della diocesi al 1° gennaio 2017 circa il 10% degli stranieri residenti ha un’età compresa tra gli 0 e i 6 anni e, un ulteriore 12%, tra i 7 e i 17» spiega la professoressa Zanfrini. «Nelle scuole del territorio si possono stimare oltre 160mila alunni di nazionalità straniera, mentre sono circa 12mila gli studenti stranieri iscritti a uno degli Atenei milanesi, studenti internazionali approdati a Milano per motivi di studio, ma anche avanguardie di una seconda generazione alla quale è affidato il compito di “svecchiare” il modello di integrazione».
Cosa comporta per la Chiesa milanese una trasformazione di queste dimensioni? Secondo la sociologa dell’Ateneo «questa popolazione, che ha fino a oggi costituito il target privilegiato della pastorale rivolta ai migranti, nelle sue diverse declinazioni, oggi interpella la Chiesa diocesana nella sua capacità di coniugare l’attenzione ai bisogni specifici con la promozione di una reale integrazione nella vita delle parrocchie, delle associazioni e dei movimenti cattolici, oltre che nella sua capacità di rendere sempre più diffuse e feconde le esperienze di dialogo interreligioso e interconfessionale».
Una prospettiva che si inserisce nel solco di quanto è già stato fatto a Milano: «Grazie alle sue straordinarie risorse e potenzialità, la diocesi ambrosiana ha costituito in questi anni il luogo d’approdo per un’immigrazione composita, fatta da quanti cercano l’occasione di un riscatto dalla propria condizione di bisogno e povertà e da quanti vi vedono un hub strategico dei propri percorsi di alta formazione, carriera e residenza elettiva» fa notare la professoressa Zanfrini. «Storie di gratificazione e di successo hanno convissuto accanto a quelle segnate dalla vulnerabilità, dall’emarginazione, dal degrado umano e spirituale. Consegnandoci la consapevolezza di come la Diocesi ambrosiana rappresenti un territorio precorritore a livello nazionale ed europeo; un laboratorio di innovazione nell’ambito delle pratiche e delle iniziative legate al tema delle migrazioni, della mobilità internazionale del lavoro, della convivenza interetnica e interreligiosa e anche, venendo al passato più recente, dell’accoglienza ai rifugiati e richiedenti asilo».