È uno dei principali studiosi italiani di Storia delle Relazioni internazionali, oltreché essere uno degli ultimi ad aver conosciuto personalmente Benedetto Croce, come borsista dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli da questi fondato. Siamo parlando di Ottavio Barié (nella foto, secondo da sinistra), allievo di Federico Chabod e Franco Valsecchi, professore emerito dell'allora facoltà di Scienze politiche, di cui il 5 giugno sono stati presentati, alla presenza del rettore Franco Anelli e del preside della facoltò di Scienze politiche e sociali Guido Merzoni, due volumi di recente uscita: Dalla guerra fredda alla grande crisi. Il nuovo mondo delle relazioni internazionali (il Mulino) e Dall'Impero britannico all'impero americano. Scritti scelti di Storia delle relazioni internazionali (Le Lettere). Al professor Massimo de Leonardis (nella foto a sinistra), suo successore nella direzione del dipartimento, e a Guido Formigoni (nella foto a destra), docente di Storia contemporanea dello Iulm, il compito di illustrare in largo Gemelli i contenuti delle due produzioni.
Il volume pubblicato da Le Lettere raccoglie alcuni scritti, dal 1953 al 1996, che offrono un panorama relativo ai due principali ambiti e periodi storici studiati da Barié: il secolo dal 1815 al 1914 e la Guerra Fredda. Come spiegato da de Leonardis, l'uso nel titolo della maiuscola per "Impero britannico" e della minuscola per "impero americano" non è casuale, ma sta a indicare la diversità tra le due esperienze storiche: la Gran Bretagna utilizzò ampiamente e senza remore il termine Impero e la Regina Vittoria nel 1876 assunse formalmente il titolo di Empress of India. Negli Stati Uniti, invece, fin dall'inizio del secolo Ventesimo c'è stato un ampio dibattito sull'utilizzo di questo termine e su quanto fosse appropriato per descrivere l'espansione e il ruolo egemonico più tardi assunto dal Paese. Il dibattito si è poi rinnovato, negli Stati Uniti e all'estero, durante la Guerra Fredda e nel periodo post-bipolare.
Regno Unito e Stati Uniti sono due Paesi dove Barié ha a lungo studiato e fatto ricerca, a riprova che «l'internazionalizzazione, oggi a volte praticata con un pizzico di provinciale sudditanza, non è, per le migliori Università italiane, scoperta recente», ha sottolineato de Leonardis. «Barié - ha proseguito il direttore del dipartimento - appartiene a una generazione e a una specie di cattedratici, oggi più rara, che della loro materia padroneggiano a pieno non una piccola nicchia, se storici un breve periodo, ma l'intero arco temporale e di contenuti. I saggi raccolti lo testimoniano».
Già Ordinario di Storia delle relazioni e delle istituzioni internazionali Barié ha diretto l'Istituto di Scienze Politiche dell'Università Cattolica dal 1975 al 1983, è stato il primo direttore del dipartimento di Scienze Politiche, reggendo tale incarico per 12 anni, fino al 1995. Barié dedicò poi molti anni allo studio della figura e dell'opera di Luigi Albertini, il grande direttore del Corriere della Sera dal 1900 al 1925, curandone la pubblicazione dell'Epistolario e scrivendone la biografia, che ottenne il "Premio Acqui Storia", il più importante in questo campo in Italia.
Le opere di Barié sono fondate su una solidissima documentazione di fonti diplomatiche e rispondono ai canoni più rigorosi della storia diplomatica, ma s'ispirano anche al modello di Renouvin (del quale Barié ha curato la traduzione italiana di alcune opere), allargando lo sguardo alla conoscenza della mentalità e della cultura, indispensabile per comprendere la politica internazionale.
Condividendo un ricordo personale, de Leonardis ha raccontato: «Rammento che una volta il Professore mi disse di considerare un po' criticamente certi suoi saggi di minuziosa ricostruzione delle vicende diplomatiche, che a me invece erano piaciuti molto. In realtà credo di poter dire che Barié pur non amando la storia diplomatica vecchia maniera, è più rigoroso di certi storici diplomatici. Di uno di essi egli osserva qui in una nota, con elegante understatement, "che si distingue per la propensione a trarre conclusioni nette su diversi problemi specifici che avrebbero bisogno di ulteriore approfondimento". Negli scritti e nelle lezioni di Barié ho al contrario sempre riscontrato la tendenza a non trarre conclusioni affrettate e a considerare attentamente tutte le possibili ipotesi e interpretazioni».
Altro merito dello studioso è quello di aver affrontato nelle sue ricerche l'interpretazione degli ultimi vent'anni di storia: l'impossibilità di consultare le fonti primarie diplomatiche, in genere accessibili agli studiosi solo decenni dopo gli avvenimenti, non gli hanno precluso tentativi di ricostruzione che sono necessariamente da considerare provvisori; tuttavia, come sottolineato da de Leonardis: «La politica internazionale più recente, anche corrente, può (deve!) essere analizzata anche in un'ottica storica. Solo l'analisi storica, ricercando i precedenti, gli elementi di continuità e discontinuità ed i dati costanti delle relazioni internazionali, può consentire un'approfondita comprensione del presente e delle sue possibili tendenze evolutive». Il volume Dalla guerra fredda alla grande crisi offre qualche spunto di riflessione, già solo con l'uso delle espressioni «grande crisi» e «nuovo mondo»: come notato nel corso della presentazione, se fosse stato scritto solo 5 anni fa, la prima certamente non comparirebbe.
Il nuovo elemento dominante della nostra storia è proprio la "grande crisi", non il «grande crollo», come Galbraith definì la crisi del 1929, che vede tutto l'Occidente in difficoltà economico-finanziarie, mentre sono in ascesa le nuove Grandi Potenze non occidentali. Secondo Barié gli Stati europei sono «troppo piccoli per risolvere i grossi problemi, troppo grandi per risolvere i piccoli», un gioco di parole che evidenzia quanto la performance dell'Unione Europa in campo internazionale sia modesta secondo lo studioso: «Con "la politica estera dell'Unione Europea" si intende in sostanza in questo periodo qualcosa di molto "interno". Una diplomazia intraeuropea cioè: fra gli Stati membri dell'Unione e fra questi e gli Stati candidati a diventarlo». Tuttavia l'Occidente più che in declino è in evoluzione, con il passaggio dall'egemonia alla leadership.