La risposta di Giovanni Bazoli a chi lo criticava di mettere in discussione il modello dominante di un capitalismo mosso esclusivamente dall’”imperativo categorico” della creazione di valore è arrivata da quelle aule dell’Università Cattolica dove ha insegnato per quarant’anni. «Il momento che viviamo – ha detto il presidente del Consiglio di Sorveglianza di Intesa Sanpaolo, tornato per un giorno nell’ateneo dopo la lezione di saluto del 27 ottobre 2003 - impone un ripensamento radicale sul ruolo e la specificità che il sistema bancario deve svolgere nel sistema economico. Mi pare, infatti, che la crisi odierna ripropone quella distinzione tra la via di un capitalismo “temperato”, di stampo europeo, rispetto alla via di un capitalismo americano che sembrava essere diventata il codice irresistibile della globalizzazione. Una distinzione che, lasciatemi pure dire, “azzardai” già nel 2007, ma che fu oggetto di critiche molto aspre».
Il professor Bazoli lo scorso 14 maggio in aula Pio XI ha partecipato al convegno Banche e territori e ha parlato, come nella sua ultima lezione da professore in quella stessa aula, di banche locali, in particolare della Cattolica del Veneto. All’incontro - promosso dalla facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative con il contributo di Intesa Sanpaolo - sono intervenuti Mario Anolli, preside della facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative, Francesca Pino, responsabile dell’Archivio storico Intesa Sanpaolo, Sergio Cardarelli, direttore archivio storico centrale di Banca d’Italia, e Pietro Cafaro, docente di Storia economica presso la facoltà di Sociologia (nella foto i relatori).
Un incontro che è stata l’occasione per presentare il volume La Banca Cattolica del Veneto e il suo patrimonio archivistico. Uomini, tradizioni e territori, a cura di Paola Chiapponi e Chiara Guizzi dell'Archivio Storico Intesa Sanpaolo, che mette in evidenza «il ruolo fondamentale svolto dalla documentazione storica raccolta negli archivi bancari per comprendere la morfologia del sistema bancario attuale», come ha sottolineato Francesca Pino. «Anche perché - le ha fatto eco Sergio Cardarelli - costituiscono una fonte primaria per la ricostruzione del tessuto tanto economico quanto sociale delle realtà locali». Ma oltre a riflettere sul legame tra banche e territorio e sulle sue possibili evoluzioni, il dibattito ha fornito lo spunto per approfondire il tema della crisi finanziaria e del ruolo delle banche. Aspetto toccato dall’intervento del presidente del Consiglio di Sorveglianza di Intesa Sanpaolo, che, nell’affrontare la questione, ha fatto partire le sue considerazioni ponendosi due interrogativi. «Perché - si è chiesto - le nostre banche sono state colpite solo di riflesso dalla crisi e come mai, pur essendo state esentate dai rischi, perdura la loro impopolarità?».
Secondo Bazoli se le banche italiane sono sfuggite alla crisi non è soltanto per «fortunata e accidentale congiuntura». Per spiegare il suo ragionamento ha fatto riferimento a quanto aveva scritto e dichiarato qualche anno fa - nel 2002, partecipando a un dibattito sul tema dello sviluppo economico, nel 2007, intervenendo alla presentazione di un volume sulla storia del Mediocredito Lombardo - sul rischio che correva il mondo di un’«involuzione dell’economia liberistica». In entrambe le occasioni aveva posto l’accento sull’urgenza di trovare soluzioni all’interdipendenza globale e sulla necessità di colmare le carenze nel quadro normativo. In particolare, ha continuato, «avanzai una valutazione sulla quale si scatenarono polemiche, nel senso che dissi essere riscontrabile nel nostro tempo una divaricazione tra due diversi modi di concepire la funzione bancaria: uno più ancorato al modello anglosassone, che accetta di avere come unica bussola quella che addita come imperativo categorico il continuo incremento di valore degli azionisti; l’altro modello, proprio dell’esperienza europea/continentale attento alla responsabilità sociale delle banche verso la clientela e verso tutte le imprese, cioè una visione che porta a farsi carico di una responsabilità verso gli interessi generali del Paese».
«Quella distinzione apparve un’eresia», ha detto Bazoli. Eppure se le banche italiane sono rimaste esenti dai rischi che hanno toccato quelle internazionali è per essere rimaste fedeli a quel modello europeo/continentale. Ne consegue, ha dichiarato il professore, che risulta connaturato all’attività bancaria il farsi carico di interessi generali del territorio di riferimento. Lo stretto legame con gli interessi generali, inoltre, porta a definire meglio il concetto di responsabilità, non nel senso di un generico richiamo all’etica, ma nella capacità di comprendere gli interessi generali. Il fatto, poi, di occuparsi di interesse generale non significa impropriamente fare politica, bensì rientra nei compiti professionali di chi opera in questo settore. Tuttavia, quando la ricerca di profitto si traduce in comportamenti lesivi dell’interesse pubblico è necessario che intervengano le norme. «L’esperienza recente - ha osservato Bazoli - insegna che confidare nei soli meccanismi di selezione e autodisciplina operanti nel mercato non assicura l’interesse pubblico. Di qui la necessità di un ripensamento radicale sul ruolo che deve svolgere il sistema bancario. Il modello di economia di mercato sociale richiede dallo Stato un quadro normativo per il coinvolgimento degli stakeholders e shareholders». Per dirla con le parole utilizzate da Habermas in un articolo comparso su Die Zeit nel novembre scorso: «La politica, non il mercato, è responsabile del bene comune». Con questa crisi, ha concluso il professor Bazoli, è giunto il momento di dare il via a una terza fase di riflessione. Una fase dove sarà decisivo il confronto dialettico tra le radici protestanti dello spirito del capitalismo e la visione della dottrina sociale della Chiesa.
Allegato MMM ( KB)