Un «pioniere radiofonico» che ha iniziato a fare radio «quando si legavano i microfoni con lo scotch, con le scatole delle uova alle pareti e si andava sui tetti a tirare i fili fra le antenne». Daniele Biacchessi, giornalista, scrittore e conduttore, ha incontrato il 7 maggio i ragazzi della Scuola di giornalismo dell'Università Cattolica di Milano.
Milanese classe 1957, dopo un'intera vita nel mondo della radio, Biacchessi è oggi caporedattore di Radio24. Il primo trasmettitore, racconta, lo comprò al mercato americano di Pisa. Ma Biacchessi si definisce anche «uno scrittore», con 24 libri all'attivo, il cui tema principale è la memoria. «Non la memoria del passato ma quella del presente», precisa. Tutto parte dagli anni del terrorismo. «Ero un giovane cronista di Radio Popolare, e i miei primi anni di carriera giornalistica sono stati segnati dal rumore del gesso che fischiava contro l'asfalto mentre segnavano le sagome dei morti - spiega -. Stiamo parlando di 131 morti e 2.500 feriti».
Due giorni hanno cambiato la sua carriera. «Il primo è il 18 marzo 1978, il giorno del omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, due diciottenni che frequentavano il centro sociale Leoncavallo, uccisi da 8 colpi di pistola. Erano due ragazzi che conoscevo, le fotografie istantanee di un'intera generazione, con capelli lunghi e la camicia a quadri. Il secondo giorno che mi ha cambiato la vita è il 2 agosto 1980. Ero a Bologna quando, alle 10.25, scoppiò la bomba nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione. Arrivai sul posto meno di mezz'ora dopo». Di fronte a un fatto del genere, dice, un giornalista può fare due cose. «Può recuperare un po' di voci, oppure può non credere e non fermarsi alle verità ufficiali. C'erano 40 gradi e odore di morte. Si avvicinò un signore distinto, in gessato blu, e tuonò: "Non provate a scrivere che è stato un attentato. È scoppiata la caldaia del ristorante Cigar". Era Ferruccio Benincasa, capo del Sismi di Firenze. Lo capii solo tempo dopo».
Ma cosa può fare, in questi casi, un giornalista? «I giornalisti non possono e non devono sostituirsi alle forze dell'ordine - risponde -, ma possono raccontare quello che hanno visto. Poi ci sono delle storie in cui, più di altre, il giornalista ha il dovere di informare. Nel 1994 ero a Roma durante il processo al criminale nazista Erich Priebke, capitano delle SS durante la seconda guerra mondiale, condannato all'ergastolo per aver partecipato alla strage delle Fosse ardeatine. Fu allora che venni a sapere che pochi giorni prima era stato ritrovato un armadio con 695 fascicoli e un registro di 2.783 voci. Ogni voce era una rappresaglia contro civili fra il 1943 e il 1945. Fascicoli che erano stati archiviati dal giudice Santacroce negli anni Sessanta. Non si poteva tacere. Li pubblicammo. Ogni giorno un fascicolo. Il giornalismo ha il dovere della memoria. È passione civile».