Al momento della sua fondazione, la Repubblica sociale italiana deve affrontare una partita quanto mai strategica, perché su di essa si gioca, oltre alla sua credibilità, anche il suo destino: ossia dotarsi di una forza militare. Un impegno ineludibile per qualsiasi Stato ma urgente e decisivo per uno Stato che è in guerra, e che guerra.
Se non vuole affidarsi ai soli volontari, Mussolini deve ricorrere alla leva di massa. I bandi di arruolamento vengono affissi il 9 novembre 1943. A essere chiamati alle armi sono i nati nel 1924 e nel 1925. Il nuovo regime non si risparmia nella propaganda, ben consapevole che la causa non è popolare in un Paese stremato già da tre anni di guerra. A Brescia a guidare la delicata operazione è il 16° Comando militare, con sede in piazzetta Sant’Eufemia, in corso Magenta al civico 27.
Dalla riuscita o meno del bando dipendono le sorti del nuovo Stato. Non si hanno dati certi sulla risposta che i giovani richiamati ebbero a dare. È oggi disponibile però un fondo imponente documentario. Si tratta dei 18.000 procedimenti penali istruiti contro renitenti e disertori dalla Sezione Autonoma di Brescia del Tribunale militare regionale di Guerra della Repubblica sociale italiana.
Dallo spoglio di 3.500 pratiche è possibile tracciare un provvisorio, approssimativo, quadro del fenomeno della renitenza e della diserzione. I dati che emergono offrono uno spaccato disomogeneo. A dare ascolto al giornale clandestino antifascista «Brescia libera», a distanza di due settimane dalla chiamata alle armi, il bilancio sarebbe sconfortante. Su 800 che si dovevano presentare alla caserma Papa a Ponte Crotte, «solo una trentina» avrebbe «dato il nome, il tre per cento!». Al contrario, ottimistico è il quadro tracciato dalla stampa di regime.
Se si dà credito, viceversa, alle carte processuali, la situazione appare a macchia di leopardo. In paesi come Gambara e Gottolengo la disobbedienza al governo della Rsi è talmente pronunciata da suscitare una durissima reazione da parte delle autorità. Il capo della provincia decreta la chiusura degli esercizi pubblici di entrambi i comuni. Stabilisce nei confronti dei genitori dei renitenti il raddoppio delle tasse comunali nonché il ritiro di ogni licenza in loro possesso. Intima poi ai podestà di procedere all’arresto di dieci genitori di renitenti e al sequestro di tutti gli apparecchi radio. Dal 18 febbraio 1944 a carico dei renitenti fa scattare anche la condanna della pena capitale. A Villa Carcina, al contrario, la presentazione alle armi si compie «nella quasi totalità».
In conclusione, dalla pur parziale documentazione esplorata, si ha la conferma delle ipotesi già avanzate sulla refrattarietà anche dell’ambiente bresciano, ormai disamorato del fascismo e della guerra, ad accodarsi a uno Stato che pare avviato a una sconfitta certa. Per avere, però, un quadro completo bisognerà attendere la conclusione del lungo lavoro di spoglio dell’intera, corposa documentazione.