«Mi sento un uomo fortunato perché ho fatto di un hobby la mia professione». Si è presentato così lo scorso 1° ottobre Carlo Fontana (foto sotto), operatore culturale, come ama definirsi, protagonista al primo incontro della serie “Professioni di cultura – ciclo di testimonianze”, organizzato nell’ambito del corso di Istituzioni politiche e culturali di Andrea Kerbaker. In realtà il suo curriculum parla da sé e lo pone ai vertici della cultura milanese.
Nel suo racconto agli studenti ha raccontato le tappe di questo percorso. «A soli vent’anni nel 1967 sono stato assunto al Piccolo Teatro di Milano come stretto collaboratore di Paolo Grassi, grande personaggio della cultura di quegli anni, per curare l’attività culturale per gli universitari e per gli studenti delle scuole medie superiori, organizzando spettacoli didattici nelle aule magne degli istituti scolastici». In quel periodo ha ricordato come la sua vita fosse incredibilmente frenetica: alle sette era già a scuola per il montaggio del palco degli spettacoli per gli alunni e doveva presenziare fino alla fine; inoltre una volta tornato al Piccolo verso le due di pomeriggio doveva scrivere una relazione sulla rappresentazione. «Non riuscivo nemmeno a mangiare a pranzo ma è stato un periodo bellissimo. Dopo cinque anni, però Grassi è stato nominato sovrintendente alla Scala e mi chiese di seguirlo come collaboratore. Così nel 1972 lascio il Teatro Piccolo per la Scala dove nel 1976 sono nominato assistente». La sua vita cambia nel 1979, con Grassi già alla presidenza della Rai dal 1976, quando è chiamato ad assumere la carica di amministratore delegato della Fonit Cetra, l’azienda pubblica di dischi. Un nuovo fronte professionale che non gli ha fatto scordare il suo amore per il teatro. Negli anni della sua gestione ha puntato, infatti, all’incisione di musiche dei grandi maestri della musica classica e lirica, come Claudio Abbado, ma anche la promozione di giovani voci emergenti come Luca Barbarossa e Mango.
Dopo aver diretto la biennale di Venezia per il settore musica per un quadriennio e aver fatto un’esperienza come direttore al teatro di Bologna, è chiamato alla Scala come sovrintendente nel 1990. «Il teatro è sempre stato la mia grande passione e arrivare a dirigere uno dei più importanti del mondo è stata una soddisfazione». Nei quindici anni della sua gestione ha dovuto fronteggiare due periodi difficili: mani pulite e la chiusura del teatro per il restauro, con il trasferimento agli Arcimboldi per un triennio. «Nel periodo dei primi anni ’90 lo scandalo delle tangenti travolse le istituzioni politiche e anche aziende molto grandi. Anche la Scala fu oggetto di una vera e propria radiografia delle sue attività, ma non uscì nulla». Fontana spiega come la passione per il lavoro e la correttezza siano due ingredienti per il successo anche in un periodo di grandi cambiamenti. «Gli anni ’90 sono stati devastanti dal punto di vista culturale. Si è affermata una logica dell’aziendalizzazione ma per me che sono un operatore culturale, non è giusto misurarsi solo su aspetti economici ma soprattutto in termini culturali». Il trasferimento agli Arcimboldi invece fu dovuto alla volontà di Fontana di modernizzare il Teatro per adeguarne il palco alle nuove esigenze del XXI secolo. «Certo in quel triennio di chiusura il teatro ebbe delle perdite economiche senza cancellare uno spettacolo dal palinsesto e alla riapertura riacquisì tutto il suo splendore».
Un hobby diventato una professione, dunque. «A me però piace il termine che usò Paolo Grassi – dice Fontana – quando mi ha preso con lui al Teatro Piccolo: vieni da me che ti faccio imparare il mestiere».