Quando si emigra non si porta con sé solo la propria cultura, ma anche la propria appartenenza religiosa. Un fattore che può determinare il destino del processo di integrazione. A questo fenomeno, riferito soprattutto ai cristiani, il Centro di iniziative e ricerche sulle migrazioni di Brescia (Cirmib) ha riunito il 6 e 7 maggio professori e ricercatori delle principali università italiane ed europee.
I relatori, in particolare, si sono soffermati sulla relazione tra cristianesimo e gli effetti della sua diffusione e integrazione con le altre culture. Un aspetto ancora poco studiato, data la centralità geografica del pensiero cattolico per cui ogni nazione cristiana considera molto la propria storia ma trascura di studiare quelle altrui.
Il convegno ha preso soprattutto in esame le comunità asiatiche, sudamericane e africane emigrate in Italia, dove la presenza di stranieri registrata è di cinque milioni, con Brescia in testa alle città per maggior percentuale tra la popolazione. Da recenti studi emerge che il numero è destinato a salire grazie alla regolarizzazione che, per quanto vada a rilento, è la chiave per avere delle efficaci politiche migratorie e di integrazione, importanti soprattutto per quelle famiglie che si stabiliscono definitivamente in Italia e che entrano a far parte della società. Da qui il bisogno di richiedere delle modifiche alle attuali leggi sull’accoglienza, troppo generali ed evasive, e di protestare contro politiche xenofobe, che hanno ripercussioni nel mercato del lavoro e nell'inserimento comunitario.
Nel corso dell'incontro, che rientra nel ciclo dei seminari Cirmib “Attraversando frontiere. Nuove direzioni di ricerca sulle migrazioni”, i relatori hanno ripercorse le tappe e i paesi di diffusione del cristianesimo, dal colonialismo con le missioni cristiane fino ad arrivare ai giorni nostri, soffermandosi in particolare sugli attuali rapporti tra le istituzioni cattoliche italiane e il loro ruolo nell’accogliere e aiutare gli immigrati cattolici (e non) ad inserirsi nella società, offrendo loro consulenze, lavoro e quando possibile facendoli partecipare alla vita comunitaria locale.
Ovviamente questo è reso difficoltoso dal fatto che una città può avere molte comunità straniere al suo interno: la sola Torino, ad esempio ha riferito Luigi Berzano, ospita diciotto chiese diasporiche cattoliche, ognuna con le sue tradizioni e le sue comunità di fedeli. Questo fa capire quanto sia importante lo studio dell'interazione tra stranieri ed italiani, non solo a livello sociale ma anche religioso, che è una parte preponderante della vita di ogni individuo.
L'apprendimento delle differenze e dei punti di contatto è utile soprattutto per le seconde generazioni, cioè i figli nati in Italia degli immigrati, che ormai sono parte integrante della collettività. Basti pensare che il 9% degli studenti non ha la cittadinanza italiana ed il numero è destinato a salire. È evidente quindi che la scuola deve essere il luogo primo di promozione e sviluppo dell'integrazione.
A dimostrazione dell'efficace inserimento degli immigrati a Brescia, è stata organizzata dopo il convegno del 6 maggio un'uscita fuori programma in cui due guide turistiche straniere hanno fatto da cicerone per la città: hanno mostrato ai professori e agli ospiti il Foro romano di Brescia e raccontato le storie delle piazze cittadine, soffermandosi in particolare su quella della Loggia.