Cinque marzo 2000. Trentacinquesimo anniversario della Bloody Sunday, il triste giorno in cui seicento manifestanti per i diritti civili della comunità afro-americana subirono a Selma la violenza degli agenti di polizia dello stato dell’Alabama.
Per Clinton, ormai alla fine del suo secondo mandato e con una reputazione alquanto incrinata dal caso Lewinsky e dai suoi scarsi successi in materia di diritti civili, tenere un discorso sul luogo stesso di tali avvenimenti fu una decisione rischiosa. Un rischio aumentato da due questioni: Clinton era il primo presidente a recarsi a Selma dopo gli avvenimenti e aveva un precedente difficile da eguagliare: il discorso che Lyndon Johnson pronunciò il 15 Marzo 1965.
Vanessa Beasley, una delle massime esperte di retorica presidenziale americana, ospite della Cattolica per il simposio Rhetoric and Democracy in the USA and Britain: A Time-Honoured Alliance, ha dimostrato come il presidente americano sia riuscito con successo ad affrontare il problema di inventio gli richiedeva una situazione del genere, trascendendo la memoria di un passato di violenza e divisione come il genere delle commemorazioni pubbliche richiede, ma dimostrando in particolare la sua astuzia retorica nella conclusione del suo discorso, quando velatamente sostenne la causa democratica in previsione dell’imminente campagna presidenziale.
Dagli Stati Uniti, il simposio si è spostato sull’altro lato dell’Atlantico, con un secondo caso di retorica politica: la professoressa Murphy è intervenuta sulla definizione dell’identità britannica negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, attraverso una selezione di discorsi dei primi ministri del Regno Unito. Una questione più che mai attuale se si considera il recente referendum per l’indipendenza scozzese. La ricerca ha dimostrato che, nonostante il pluralismo sociale e culturale intrinseco alla Gran Bretagna, gli inquilini del numero 10 di Downing Street tendono a parlare della nazione come un’unica entità, confident, fair, health e strong. Lo studio ha preso inoltre in considerazione l’importanza data alla democrazia all’interno di questi stessi discorsi e ai valori che definiscono il carattere britannico.
Il professor Guido Milanese, docente di Cultura classica ed europea, ha analizzato il ruolo della retorica nella tradizione nordamericana. L’educazione retorica negli Stati Uniti nel XVIII secolo si avvaleva di manuali di retorica di età classica, in quanto quest’arte era ritenuta una delle massime espressioni delle lingue greca e latina. Nel secolo successivo, tuttavia, cambiamenti nel sistema educativo americano portarono alla graduale scomparsa delle lingue classiche dai curricula studiorum e, di conseguenza, la retorica divenne materia dei corsi di inglese. Perdendosi la conoscenza del greco e del latino, veniva però a mancare una solida base letteraria, fondamentale per un’educazione che si proponesse di superare i limiti posti dalla nuova tendenza ad una specializzazione sempre maggiore degli studi accademici. In un tale contesto, John Erskine, professore alla Columbia University, ideò negli anni Venti un nuovo approccio allo studio dei classici, stilando una lista di Great Books, contenente i capisaldi della letteratura occidentale, programma successivamente destinato a fallire.
Secondo il professor Milanese lo studio delle sole tecniche retoriche non è sufficiente ma i classici sono strumenti sempre utili, perché fanno comprendere meglio l’attualità: leggere Cicerone rende più comprensibile la retorica, per esempio, di Bill Clinton.
Su simili premesse si è basato l’intervento del professor Cattaneo, volto a indagare il ruolo che l’educazione classica e la retorica ebbero nella formazione degli uomini politici del mondo occidentale, con particolare riferimento all’Inghilterra del XVI secolo. Come esempio concreto Cattaneo ha proposto un’analisi di The Governor, un trattato rinascimentale riguardante l’educazione di principi e leader politici ad opera di Sir Thomas Elyot (c. 1490-1548). Questi riteneva che il mondo classico fosse detentore di una cultura e una civilizzazione superiori e che lo studio dei suoi maggiori scrittori potesse portare ad un’assimilazione dei valori che erano al centro di quel mondo stesso.
Libri quali l’Aeditio di John Colet (1527) o la Grammar di John Lyly (1549) dimostrano che la retorica era già parte integrante dei programmi scolastici. Tuttavia è significativo come il libro di retorica per eccellenza dell’epoca, The Arte of Rhetorique di Thomas Wilson (1553), fosse molto più assimilabile a manuali di galateo quali The Governor o Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione che non a veri manuali di retorica. Questi volumi ribadiscono l’importanza di un’educazione liberale dell’uomo destinato a una carriera politica, in quanto la letteratura detiene un valore civico e morale necessario allo sviluppo di un senso etico, educazione che è rimasta associata alla formazione dell’uomo politico fino agli anni del secondo dopoguerra, come dimostra per esempio un personaggio di riferimento quale Winston Churchill, prima di essere soppiantata da altri modelli.
Ogni intervento del convegno, seppur nella sua diversità, ha voluto onorare il titolo conferito al simposio: la retorica e la democrazia, o in termini più generali, la politica, si sostengono ed evolvono l’una con l’altra, forti di un’alleanza consolidatasi nel tempo.
MILANO
Da Cicerone a Bill Clinton, non è solo retorica, è politica
L’arte oratoria e la democrazia si sostengono l’una con l’altra, forti di un’alleanza che si è consolidata nel tempo. Un simposio organizzato dal dipartimento di Scienze linguistiche con Vanessa Beasley, una delle massime esperte del settore