di Laura Zanfrini *
Il messaggio del Santo Padre per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 17 gennaio 2016 giunge in una delle fasi più critiche della storia delle migrazioni dell’età contemporanea; una fase in cui la forza della disperazione di milioni di profughi ha imposto all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale il dramma della mobilità forzata, mettendo al contempo a nudo i limiti dei nostri sistemi di protezione.
Nel documento, il Papa ribadisce innanzitutto i principi cardine del Magistero della Chiesa in questa materia – a partire da quello della dignità di ogni persona umana, indipendentemente dal suo status e dalla sua condizione giuridica –, insistendo in particolare su quella che definirei la valenza profetica delle migrazioni – e dei migranti – che, come recita il testo del messaggio, «interpellano i singoli e le collettività, sfidando il tradizionale modo di vivere e, talvolta, sconvolgendo l’orizzonte culturale e sociale con cui vengono a confronto».
Oltre a richiamare il dovere della comunità internazionale e denunciare la carenza di normative chiare e praticabili, il messaggio insiste sulle responsabilità di quanti, assistendo come spettatori delle morti che si susseguono, finiscono col divenire complici dei trafficanti di carne umana. Sollecitando una maggiore attenzione per le cause delle migrazioni – al di là della gestione delle situazioni di emergenza –, afferma il diritto a non emigrare, ovvero a godere nel proprio paese di condizioni di vita sicure e dignitose.
Riconoscendo le conseguenze che le migrazioni producono tanto sulle identità delle persone coinvolte quanto nelle società che le accolgono, il messaggio segnala poi l’esigenza di lavorare affinché ciò diventi un’opportunità per una crescita umana, sociale e spirituale, e non si risolva invece in un ostacolo all’autentico sviluppo. E, ancora, incoraggiando l’accoglienza dello straniero secondo uno stile improntato all’insegnamento biblico, il messaggio segnala però il rischio che si generino reazioni negative nei suoi confronti, se non si coltiva una vera cultura dell’incontro, fatta non solo di “dare”, ma anche di disponibilità a ricevere.
Francesco sottolinea l’importanza che gli stranieri rispettino il patrimonio materiale e spirituale del Paese che li ospita, ma anche il potenziale trasformativo che le migrazioni hanno per l’intera umanità. Ribadisce, infine, il nesso tra le migrazioni e l’iniqua ripartizione dei beni della terra, dentro un contesto di interdipendenza globale.
Il messaggio sembra evocare la necessità di una responsabilità davvero condivisa – «Nessuno può fingere di non sentirsi interpellato…» –: è l’intera comunità umana, insieme alla Chiesa, a essere investita del dovere di “tendere la mano” ai migranti e ai rifugiati, operando certo sul fronte dell’accoglienza, ma prima ancora sulle ragioni all’origine della mobilità forzata.
Un messaggio, dunque, che nell’indicare la risposta del Vangelo della Misericordia – cui è dedicato il Giubileo straordinario ormai alle porte –, scuote le coscienze e richiede di essere declinato nelle opere di misericordia spirituale e corporale, ma lascia anche intuire i grandi temi sui quali dovrà concentrarsi il governo della mobilità e della convivenza interetnica.
* docente di Sociologia delle migrazioni e della convivenza interetnica all’Università Cattolica e consultore del Pontificio Consiglio della pastorale per i Migranti e gli Itineranti della Santa Sede