«Non “vanno presto” soltanto i morti oggi, ma anche i vivi, basta solo che credano nella discrezione anziché nella tracotanza. Del resto tu, io, molti altri, effettivamente “stiamo male” nel senso che dobbiamo lottare a coltello per guadagnarci attimi di – come chiamarlo? – equilibrio vitale, dalla quale posizione diventa possibile almeno difendersi: anche nei giovani domina il trionfalismo nutrito con biberon ricco di latte caldo». Una constatazione amara, questa, contenuta in una lettera di Andrea Zanzotto indirizzata a Vittorio Sereni nel giugno del 1967, ma che sembra – come sempre accade per i grandi – precorrere straordinariamente i tempi. Si lamenta il poeta della «brutalità propagandistica» con cui ciascuno è costretto a vendere se stesso, in un mondo in cui la discrezione e la correttezza diventano «forme di autolesionismo.
Questa e molte altre lettere inedite indirizzate a poeti amici, dense di riflessioni profonde sulla vita e sulla poesia, sono pubblicate nell’ultimo numero di “Autografo”, la storica rivista collegata al Fondo Manoscritti di Pavia e da esso promossa, fondata da Maria Corti, diretta da Maria Antonietta Grignani e Angelo Stella e pubblicata da Interlinea. Oltre alla sezione che raccoglie corrispondenza e componimenti inediti – tutti provenienti dall’archivio pavese –, si trova pubblicata una ricchissima serie di contributi, dove proprio lo studio delle carte dell’officina poetica di Zanzotto ha permesso di gettare nuova luce sulla genesi e l’elaborazione dei componimenti di un poeta che considerava le sue opere, come ha sottolineato Clelia Martignoni, «un meccanismo in progress, una realtà infinitamente potenziale».
Dall’officina materiale, fatta della carta degli archivi, si passa a quella emotiva, psicologica, fatta di memorie e ricordi d’infanzia, attingibili attraverso Ascoltando dal prato, il volume, edito da Interlinea nella collana “Alia”, presentato in Università Cattolica dalla curatrice Giovanna Ioli. Si configura come un omaggio all’universo dell’infanzia dell’autore, le cui tracce permeano gran parte della sua opera poetica, in cui ricordi della curatrice, legata a Zanzotto da profonda amicizia, dialogano con quelli del poeta, talora animati da un’ironia dolce e commossa: «Mi ricordo, a proposito dell’asilo, che a tre o quattro anni ebbi a lamentarmi della cattiveria delle suore, perché ci allungavano qualche schiaffo, e un giorno passò la madre superiora davanti a casa mia, che poi era proprio a pochi passi dall’asilo; la suora mi prese in braccio e mi chiese: “È vero che se tu potessi faresti mangiare le suore ai leoni?” Al che io risposi: “Sì, ma non le superiore”».