“Giornalismo ed etica: neutralità o immoralità?”. È questa la domanda che dà senso e titolo all’incontro che il 19 gennaio ha inaugurato il ciclo de “I mercoledì di Vita e Pensiero”. Il primo di una serie di appuntamenti che, fino a maggio, avranno per scenario la libreria di largo Gemelli. Roberto Righetto, responsabile delle pagine culturali del quotidiano "Avvenire", stavolta, intervista Silvano Petrosino, docente di Semiotica dell'Università Cattolica, sul rapporto tra moralità e mondo dell’informazione. «Il mestiere del cronista oggi è in crisi – spiega Petrosino, autore di un articolo sul tema nell’ultimo numero del bimestrale “Vita e Pensiero” – perché si costruiscono le notizie in modo tale da risultare poco chiare». Alcuni casi eclatanti, come quello l’omicidio della minorenne Sarah Scazzi, fanno capire che, spesso, ci si riempie la bocca con la parola “etica”. «Ma, sul campo, c’è molta confusione - rileva il docente - e le notizie date non sempre rappresentano la realtà».
Il concetto di etica applicato al giornalismo, secondo Petrosino, non è poi così è complesso. Ma è molto facile cedere alla tentazione di agire solo per lo share, l’audience, il profitto, la carriera. Petrosino fa un esempio, non troppo lontano nel tempo, a proposito della trasmissione “Chi l’ha visto” su Rai3 e di quell’intervista condotta troppo a lungo dalla conduttrice e proseguita oltre la confessione dello zio della vittima, Michele Misseri. «È scandaloso che si tiri in ballo l’etica in alcune situazioni in cui volontariamente si decide di non agir bene». Dove agir bene sta per “agire con coscienza”, nel rispetto della persona senza cavalcare l’onda del cinismo.
Petrosino, incalzato dalle domande di Righetto, ha parlato della pertinenza delle fonti e di quanto sia importante per un giornalista non riportare solo frasi a effetto. Perché, così facendo, si rischia di rappresentare una realtà in modo assolutamente parziale. «Il lavoro del giornalista, se fatto con coscienza, è davvero difficile - chiarisce Petrosino -. Il giornalista deve avere una grande conoscenza del tema e una preparazione adeguata. In caso contrario tenderà a usare le fonti più comode e già utilizzate. Riprodurre l’immagine del mondo fornita dai dispacci d’agenzia non è giornalismo, è conformismo. Il giornalista deve suggerire nuove prospettive di riflessione».
Di fronte a questa verità, e alla realtà quotidiana, piuttosto scarsa, alla quale si assiste sulla stampa italiana, Roberto Righetto ha posto un’ultima domanda a Petrosino sul futuro della stampa. «Possiamo fare a meno dei giornali?» La risposta arriva secca. «Ma siamo matti? Non potremo fare a meno dei giornali perché non potremo fare a meno dei giornalisti». Quelli motivati, che vogliono avvicinarsi alla verità per spirito di servizio alla cittadinanza e perché credono - ancora - nella democrazia.