Era necessario che l’eroico diventasse quotidiano e il quotidiano eroico. Le parole usate da papa Giovanni Paolo II per ricordare la vita di San Benedetto da Norcia ben si adattano a descrivere le esistenze di centinaia di italiani che sotto il regime fascista prima, e la Repubblica Sociale dopo, si prodigarono per la salvezza di migliaia di ebrei. Sono i Giusti tra le Nazioni, titolo che lo Yad Vashem di Gerusalemme, il più grande memoriale al mondo per le vittime della Shoah, attribuisce a chi durante la Seconda guerra mondiale ha soccorso e salvato la vita, spesso a rischio della propria, di ebrei perseguitati. Degli attuali 20mila “Giusti”, ben 400 sono italiani. La rete di aiuto fu spontanea e ingegnosa, formata da persone comuni, molti sacerdoti e persino qualche camicia nera. Il movente politico contò in quegli anni pochissimo: scorrendo le vicende dei Giusti è facile notare come il soccorso nella maggioranza dei casi fu umanitario, mentre le organizzazioni politiche e antifasciste tardarono a prendere coscienza dell’imminente pericolo di vita per gli ebrei.
Le loro gesta sono ricordate nel libro di Liliana Picciotto “Gli italiani, quelli Giusti”, presentato alla presenza dell’autrice lo scorso 29 novembre durante il seminario Il coraggio di opporsi, i Giusti e la Shoah, organizzato dal Centro di ricerca sulle relazioni interculturali dell’Università Cattolica. Occorrevano, per salvarsi, due cose: un ricovero diverso dalla propria casa e una falsa identità. Oltre che qualche casa privata offerta da generosi amici, i naturali approdi per migliaia di perseguitati furono le case religiose, i conventi e i monasteri messi a disposizione dai religiosi cattolici che furono i principali attori di occultamento degli ebrei. Dai cardinali Boetto, Dalla Costa, Fossati, Schuster fino a semplici sacerdoti come don Aldo Brunacci, una catena umana di solidarietà si è prodigata, e spinta, in alcuni casi, perfino a far rimuovere la consegna della clausura in conventi come quelli di Firenze e di Assisi. Per le false carte di identità l’opera clandestina ebraica di soccorso Delasem si appoggiò all’aiuto della Chiesa cattolica che, con le sue ramificazioni gerarchiche e territoriali, operava con efficacia e capillarità.
Talvolta i soccorritori facevano addirittura parte delle pubbliche autorità ovvero tra i “persecutori”. É il caso di Giovanni Palatucci, questore di Fiume sotto la Repubblica Sociale, dichiarato nel 2004 Servo di Dio dalla Chiesa cattolica e per il quale è in corso il processo di beatificazione. Pagò con la vita i suoi ideali tradotti in azione: aiutò 5mila persone a salvarsi durante la sua permanenza a Fiume e morì nel campo di concentramento di Dachau pochi giorni prima delle Liberazione a soli 36 anni.
«Il giudizio di mia madre su quest’uomo era che, solo chi vive momento dopo momento il Vangelo della vita, può diventare così importante per gli altri, perché una forza e un coraggio del genere si possiedono soltanto credendo in Dio»: così è scritto in una delle tante testimonianze raccolte da chi lo ricorda. È la forza della coscienza dei Giusti, che secondo Hannah Arendt «non parlò in termini di obbligo, non disse loro “questo non devo farlo” bensì “questo non posso farlo”». Un dialogo silenzioso con se stessi, un’autoevidenza delle proposizioni morali, dell’imperativo categorico kantiano.
Molti Giusti hanno sacrificato la vita per questo non posso. Se i giusti siano dei vinti o dei vincitori, dipende da noi. La chiosa di Antonia Grasselli, coordinatrice dell’Accordo di Rete Storia e Memoria, non lascia spazio ad altri commenti: «Se lo sguardo del giusto, diventando il nostro, rivive nel modo che abbiamo di accostarci alla realtà del mondo e se diventa la prospettiva con cui leggere la storia, i Giusti trionfano, altrimenti rimangono ricordi incatenati nel passato».