di Valentina Pozzoli *
Ci sono città destinate ad emergere per le loro incredibili risorse naturali. Ce ne sono altre che devono la loro fama all’intraprendenza di grandi uomini. Hengdian, la seconda tappa del nostro viaggio, è una di queste. La sua storia è intrecciata a doppio filo con quella di Xu Wenrong, il fondatore della Hengdian Group. Grazie a lui, Hengdian è diventata la capitale di un vastissimo impero economico ed é conosciuta come “Chinawood”, la Hollywood cinese. Gli studios cinematografici di Hengdian ospitano 13 locations storiche, costruite in soli 10 anni di lavoro, per un totale di 330 ettari di estensione. Sono numeri che io andavo assaporando nell’attesa di vederli trasformati in realtà. Numeri a cui è impossibile essere preparati. Toccare con mano la grandezza di questi luoghi lascia, infatti, senza parole.
La nostra visita comincia dalla Canton del XIX secolo, costruita appositamente per il film di Jin Xie, La guerra dell’oppio (1997). È la parte più antica degli Hengdian Studios, il primo set ad essere stato voluto da Xu Wenrong: un continuo sali e scendi di strade, case e negozietti dai muri scrostati, che portano ad un’ampia e luminosa piazza. Facciamo poi un salto indietro nel tempo e veniamo guidati alla Città Proibita, dove il passato della Cina riprende vita in tutta la sua magnificenza. Qui hanno girato Hero (2002) di Zhang Yimou e The Promise (2005) di Chen Kaige. Una volta arrivati all’ingresso della sala del trono, al termine di una scala di cento gradini, si gode una vista spettacolare che abbraccia una piazza della capienza di circa diecimila persone. La ricostruzione fedele del palazzo imperiale della Dinastia Qing è molto più che un set cinematografico: è una vera opera d’arte, in cui la spettacolarità delle dimensioni si unisce alla cura del più piccolo dettaglio. Diventa difficile distinguere la finzione dalla realtà.
Studios a confronto
È una sensazione nuova, che non ho mai provato prima d’ora, nonostante abbia già visitato diversi studios. Passeggiare per i set della Universal o della Paramount a Los Angeles è divertente ed emozionante: prima sei sotto il balcone da cui Audrey Hepburn cantava Moon River e poi, svoltato l’angolo, puoi bussare alla porta del Primo Ministro inglese; un saloon western può tranquillamente convivere con scenari di guerre apocalittiche; dietro le facciate dei palazzi non esiste nulla, c’è il vuoto. Hollywood, quindi, si mette a nudo e svela i trucchi della produzione cinematografica. Agli Hengdian Studios, invece, non succede niente di tutto questo. Le locations non vivono in funzione delle riprese, ma sono luoghi già di per sé abitati dalla magia. La maestria, l’artificio, la grandezza passano in secondo piano e cedono il passo alla bellezza. Una bellezza da contemplare e da cui far scaturire nuove storie da raccontare. Una bellezza per cui vale la pena investire.
Nell’epoca della Cgi e delle nuove tecnologie, sembrerebbe, infatti, uno spreco inutile di energia e denaro ricostruire un intero villaggio a partire da un dipinto storico. Eppure è ciò che è stato fatto a Chinawood, a Qingmingshanghetu. Piccoli ponti collegano tra loro le case separate dal fiume, disegnando sull’acqua immagini di una perfetta simmetria. I colori dominanti sono il rosso dei muri e delle lanterne, il verde degli alberi che fanno capolino dai tetti bassi e i toni più scuri del legno. Nonostante siano in corso le riprese di un film e ci sia un gran via-vai di turisti, c’é una grande pace. Da lì ci spostiamo a un’area ancora più isolata, su una collina, dove sono state trasportate e ricostruite pezzo per pezzo alcune antiche case popolari cinesi, senza ricorrere all’uso di chiodi o di cemento. Finestre intarsiate, soffitti pensati appositamente per permettere agli uccelli di nidificare, mattoni di pasta di glutine. Il confine tra set cinematografico e museo a cielo aperto si fa sempre più labile.
Sono stata sopraffatta dalla meraviglia
Personalmente non sarei mai riuscita a immaginare niente di simile, se non lo avessi visto con i miei occhi. Sono stata sopraffatta dalla meraviglia, a cui nessun racconto e nessuna fotografia potranno dare giustizia. Sopraffatta dall’intuizione di Xu Wenrong, che ha saputo valorizzare il talento e il territorio cinesi, proprio quando la crisi del cinema americano ha spinto Hollywood a cercare altrove (in Canada, in India, in Sud America...) nuove storie e nuove locations a basso costo. Sopraffatta, infine, dalla generosità con cui siamo stati accolti nella città: per noi è stato organizzato un programma serrato di incontri con i vertici dirigenziali della Hengdian Group, di pranzi e cene più che abbondanti, di spettacoli di acrobazie, musica e balli.
Sono sicura che abbiamo beneficiato della gratitudine che Hengdian nutre nei confronti di Airaldo Piva, general manager della filiale europea dell’impresa, da poco insignito del prestigioso “National Friendship Award of China”, il massimo riconoscimento dato dal governo ai cittadini stranieri che si sono distinti, per meriti manageriali, nella creazione di relazioni commerciali tra la Cina e il resto del mondo. Airaldo e la moglie Alessandra ci hanno accompagnato passo passo nella nostra visita; ci hanno introdotto nella cultura cinese, di cui abbiamo imparato ad apprezzare le abitudini, il ritmo e il cibo; ci hanno trasmesso il loro entusiasmo e la loro volontà di trovare possibili strade di collaborazione con la Cina.
La Nuova Zelanda e gli Stati Uniti, infatti, hanno già avviato progetti di coproduzione con la Hengdian Production. Adesso potrebbe essere la volta dell’Italia. Del resto quest’anno si festeggia il quattrocentesimo anniversario della morte di padre Matteo Ricci, il primo europeo a cui l’Imperatore ha concesso l’onore della cittadinanza cinese. Un’occasione che, a imitazione delle capacità imprenditoriali di Xu Wenrong, dovremmo quanto meno provare a far fruttare.
* Diplomata al Master in Scrittura e produzione per la fiction e il cinema, è attualmente responsabile di sviluppo dei progetti cinematografici per la Lux vide, lavorando fra Roma e Madrid. In precedenza ha lavorato per una società di produzione di Los Angeles e ha seguito – per conto della Lux vide - lo sviluppo e la produzione delle fiction Rai Giovanni Paolo II e Guerra e pace.