Sono passati quarant’anni dalla nascita del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee): un’istituzione che può essere considerata certamente uno dei frutti della visione conciliare. Il nuovo organismo, che rappresenta le Chiese nazionali del continente europeo, prese vita infatti a ridosso del Vaticano II, nel 1971, con l’obiettivo di promuovere la nuova evangelizzazione e di inaugurare la collaborazione tra le diverse conferenze episcopali europee. Il 1992 è l’anno in cui Giovanni Paolo II operò un profondo cambiamento all’organismo, ed è proprio da questa data che parte l’antologia di documenti ufficiali dei vescovi europei, raccolti nel volume “Les Èvêques et la nouvelle Europe”, presentato il 22 febbraio durante un incontro di studio promosso dal Centro di Ateneo per la dottrina sociale della Chiesa in collaborazione con il Centro pastorale.
Monsignor Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa e per quindici anni segretario del Ccee, ha proposto una lettura del contesto attuale europeo, i fenomeni in atto e alcune prospettive per il futuro, ripercorrendo lo sviluppo diacronico e tematico del volume. La globalizzazione, l’unificazione dell’Ovest e dell’Est europeo, lo sviluppo e la velocità delle comunicazioni hanno mutato in modo pervasivo i rapporti tra i paesi e tra i popoli: «Prima il mondo era grande e c’era posto per tutti, ma ora abitiamo nella stessa casa. Ed essendo vicini ci rendiamo conto di quanto siamo lontani». Un esempio di questa lontananza è la sentenza della Corte europea dei Diritti dell’uomo di Strasburgo che ha vietato l’esposizione del crocifisso nelle scuole italiane e contro la quale l’Italia ha presentato ricorso. «A marzo – ha dichiarato monsignor Giordano – la Corte europea dei diritti dell’uomo dovrebbe rendere nota la sentenza e le sue motivazioni». Il pluralismo religioso, la ricerca di un linguaggio comune, le frontiere incerte dell’Europa e la divisione interna fra i cristiani sono stati i quattro “spazi problematici” entro cui si è poi sviluppato l’intervento di monsignor Giordano. Il quale ha ribadito che, al di là delle frontiere, la potenzialità del cattolicesimo e dei cristiani nell’essere un popolo globale. «Di qui la necessità - ha chiosato monsignor Giordano - di riaprire sull’Europa il cielo dell’eterno e cominciare a leggere le grandi questioni della storia dal punto di vista religioso».
È questa, dunque, la sfida a cui è chiamato il Consiglio delle Conferenze episcopali europee. Come emerso anche dalle parole di monsignor Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio e delegato della Cei presso la Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea (Comece). Secondo monsignor Ambrosio è stato Giovanni Paolo II che - sia nei documenti sia nei suoi gesti simbolici, in particolare attraverso i viaggi - ha accresciuto nei vescovi la passione per il progetto europeo. Ma nella stessa direzione, ha aggiunto il vescovo di Piacenza-Bobbio, anche l’attuale pontefice invita l’Europa a ritrovare la fiducia in sé stessa, risvegliando “l’anima del continente” e il suo fermento di civiltà che è stato lievito per il mondo intero. Pertanto, ha suggerito monsignor Ambrosio, l’impegno dei vescovi deve essere più incisivo affinché l’Europa, nella fedeltà creativa alla tradizione umanistica e cristiana, sappia garantire “il primato dei valori etici e spirituali”.
Sarah Numico, che ha collaborato alla realizzazione del lavoro di ricerca e catalogazione, ha ricordato le fatiche di crescere come popoli in Europa e di trovare parole, intenti e azioni comuni. L’assistente ecclesiastico generale monsignor Sergio Lanza, che ha moderato l’incontro, ha proposto tre parole conclusive, tre pietre miliari: evangelizzazione, che implica coraggio nell’analisi e nella proposta; paradigma, che sottende una conversione pastorale, e paradosso, forte monito verso uno slancio ecclesiale denso di entusiasmo e speranza per la società frammentaria e disordinata, impegno per la nuova Europa.