Un esordio nella narrativa con una storia legata all’anoressia. Il nuovo, e primo, romanzo di Margherita De Bac, giornalista del Corriere della Sera ed esperta divulgatrice di medicina e sanità, “Per fortuna c’erano i pinoli”, è una storia d’amore e d’amicizia che vede protagonista Domitilla, ventiquattrenne romana, malinconica e introversa, che un giorno incontra Lucia, avvocato quarantenne, brillante ed entusiasta, che le trasferisce un nuovo desiderio di esprimersi, confidarsi e portare alla luce le oscurità interiori che l’hanno oppressa sino a quel momento. Domitilla non riesce ancora a farlo verbalmente e così, inizialmente, affida ad un diario, che consegna a Lucia, le proprie confidenze e il tentativo di una nuova relazione con gli altri.
Il libro è stato presentato nella hall del Policlinico Gemelli il 16 giugno nell’ambito del ciclo di incontri “Il cielo nelle stanze”. Degenti, ospiti e studenti hanno partecipato a una piacevole e coinvolgente conversazione tra l’autrice e Luciano Onder su uno dei temi più forti e difficili della vita di molte famiglie contemporanee: la lotta contro l’anoressia, il male silenzioso e spesso trascurato che deperisce corpi e anime di moltissimi adolescenti e giovani adulti delle nostre società.
«Raccontare la Salute – ha esordito Margherita De Bac – è sempre un’esperienza diretta e bella. Per scrivere questo romanzo ho parlato a lungo con persone che conoscono bene queste giovani donne colpite dall’anoressia, persone sensibili e molto introverse: i personaggi del libro rispecchiano davvero la realtà, specialmente il punto di vista delle pazienti e dei loro genitori, questi ultimi troppo spesso colpevolizzati e pieni di sensi di colpa, in realtà responsabili come tutte le altre figure della società».
Il romanzo di Margherita De Bac evidenzia ancora una volta quanto sia importante nutrirsi del cibo dei sentimenti, della condivisione, della parola, dell’amicizia, specialmente quando anima e corpo sono fragili e ci si sente spesso disperati. La protagonista del romanzo – l’autrice si è ispirata a una storia realmente accaduta – ha vinto nella realtà la sua battaglia. Ma non l’ha fatto da sola: nessuno può farlo. E spesso non può farlo da sola neanche la Medicina: accanto alle terapie mediche prendersi cura è la cura.
Lo ha raccontato molto bene Carla, una giovane donna presente all’incontro, fino all’età di trentaquattro anni sofferente a causa dell’anoressia: «In quindici anni ho incontrato tanti medici: non tutti hanno saputo aiutarmi. Ma quando quelli davvero preparati e competenti ci prendono a cuore, come la psicoterapeuta che ha aiutato me, allora la battaglia si può vincere davvero. La terapia nel mio caso è stata fondamentale: da sole non ce la facciamo».
«Da sette anni – ha proseguito Carla – sono molto più forte: affronto la vita con più sicurezza e cerco di far capire alle ragazze fragili che incontro che la tenacia che usiamo per ribellarci e non mangiare, dobbiamo usarla per continuare a vivere».
La cura globale non può né deve essere separata da ciò che sembra stare intorno e ne è invece parte integrante ed essenziale: raccontarsi e raccontare, soprattutto nelle fasi più dure e di prova dell’esistenza, può essere davvero un “farmaco salvavita” che non si compra e non si prescrive, ma, fortunatamente, si può solo regalare.