«La cosa bella di questo lavoro è che puoi andare dove vuoi, ti viene in mente di andare in un posto e ci vai. Però devo ancora realizzare il sogno di essere pagato per andare alle Hawaii». Non manca di scherzare Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, davanti ai tantissimi studenti venuti ad ascoltarlo nella sede di Sant'Agnese a Milano il 9 aprile, nel corso di Aldo Grasso, docente di Storia della televisione. Dopo aver vestito i panni della iena televisiva, Pif è approdato ormai da diverse stagioni su Mtv con "Il testimone", un programma d'inchiesta nel quale il videomaker palermitano si cimenta con i temi dell'attualità, raccontando la realtà attraverso l'occhio della sua inseparabile telecamerina.
E non si può certo dire che manchi di fantasia o di spirito d'iniziativa. I temi affrontati da Pif spaziano dalla lotta al pizzo ai raeliani, dalle diversità alla ricerca della fama nell'India di Bollywood, il tutto trattato in maniera leggera e mai supponente, senza tesi preconcette con un piglio ingenuo che rende il tutto più credibile e sicuramente molto divertente. «Il suo è un giornalismo d'inchiesta innovativo che ha molta presa sul pubblico più giovane - spiega Aldo Grasso, introducendo l'ospite -: quella di Pif si potrebbe definire un'antropologia light. Si occupa di cose molto serie ma sempre con il sorriso sulle labbra. La sua tecnica è quella di farsi complice, di insinuarsi, mimetizzarsi tra le sue "vittime", diventarne complice, raccontare la realtà ma senza moralismi ma graffiandola».
Ed è proprio il graffio il segno distintivo del lavoro di Pif, diventato capofila di un genere tv che riscuote un successo sempre maggiore. A sentire lui è tutto molto semplice: «Arrivo con la mia telecamera e dopo un po' la gente dimentica che sono lì per fare televisione, si lascia andare. Sono convinto che questa sia la miglior televisione possibile. Per il resto, viene da sé. Si decide l'argomento, si va lì e si vede quello che succede, è tutto molto istintivo. Io mi limito a riprendere quello che succede, poi le persone fanno tutto da sole». Il testimone fa un esempio per tutti: Corona. «Se fossero tutti come lui io farei fortuna. Mi ricordo di quando andai a casa sua e cercai di infilarmi per vedere il bagno di Belen e lui mi cacciò in malo modo».
Tra le domande (tante) degli studenti e le risposte di Pif, quello che conquista del suo stile nasce proprio dal contrasto che riesce a creare tra i personaggi e le situazioni che incontra e il suo modo di fare un po' naive: «Io sono fondamentalmente un timido, però la telecamera mi permette di dire cose che non direi mai nella vita, di fare qualunque domanda senza che nessuno si arrabbi».
Ma anche se il successo televisivo è ormai consolidato, le aspirazioni non si esauriscono e a breve arriverà anche il primo film dal titolo "La mafia uccide solo d'estate", che racconta il periodo stragista attraverso gli occhi di un bambino che reinterpreta la realtà proiettandola nella sua quotidianità: «In realtà ho sempre sognato di fare il cinema. Da ragazzo avevo fatto l'assistente per Tullio Giordana ne "I cento passi" e poi anche per Zeffirelli, anche se più che altro si trattava di fargli da dog-sitter. Ma le cose andavano un po' a rilento. Un giorno ero sul divano a guardare "Sipario". Mi chiama mia zia Gabriella, titolare di una agenzia di assicurazioni a Frosinone e mi propone di andare da lei a lavorare: in quel momento ho capito che tra fare l'assicuratore a Frosinone e il nulla dovevo scegliere il nulla. Volevo fare cinema e per arrivare a quello, nell'attesa, era meglio il nulla. Poi, a dire il vero, sono sempre stato molto fortunato, ho sempre avuto a fianco qualcuno che mi spronava».