La notizia è una questione di punti di vista. E come ogni senso umano anche la vista ha bisogno di accertare il suo stato di salute. È quanto si sono impegnati a fare gli esperti che sono intervenuti al convegno organizzato dall’Alta scuola in media comunicazione e spettacolo (Almed) dell’Università Cattolica e dalla rivista Millecanali. Un’intera giornata dedicata alla riflessione su come si costruisce l’in-formazione televisiva a livello nazionale e locale.
L’apertura dei lavori è affidata a Giorgio Simonelli, docente di Giornalismo radiofonico e televisivo all’Università Cattolica, che come prima cosa denuncia la situazione critica in cui versa il giornalismo televisivo nazionale, e osserva il ruolo marginale erroneamente attribuito a quello locale, confinato più al folclore, che invece «ha un forte peso e ha radici nel territorio». Anzi, «il telegiornale locale assolve al compito, quello di informare per davvero, che il tg nazionale trascura» ha subito commentato Mattia Losi, direttore editoriale Business Media del Gruppo 24 Ore. Ma il sintomo di una cattiva “messa in forma” degli eventi non sembra essere causato dal virus della censura. Il male risiede piuttosto «nel giornalista», vero responsabile di un meccanismo di distorsione dell’informazione, per cui «la morte di un nostro militare viene annunciata solo dopo la notizia del tour della seconda classificata del Festival di Sanremo». E così va a finire che «i giovani si affezionano più alle trasmissioni di intrattenimento, le uniche che osano fare ancora delle inchieste». Tuttavia, Losi non manca di sottolineare che uno spicchio di futuro per chi «ha la schiena diritta» c’è e ci sarà sempre, anche grazie agli spazi aperti con la recente moltiplicazione dei media.
Un ulteriore conferma di questa diagnosi arriva dalle statistiche illustrate da Francesco Siliato, docente di Sociologia dei processi culturali e della Comunicazione al Politecnico di Milano. I maggiori telegiornali della sera, il tg1 e il tg5, nel 2010 segnano un calo del 20% di pubblico, e registrano solo il 4% di share. Un fenomeno degenerativo in corso già prima del successo del tg di La7 condotto da Enrico Mentana. Il telespettatore medio invece è vecchio e pensionato e di sesso maschile. Il che lascerebbe pensare che la patologia di cui soffre l’in-formazione non interessi le ultime generazioni e il nuovo universo multimediale, popolato da micro-citizen tv e da reporting diffuso.
Oltretutto, lo stato cagionevole dei programmi di informazione dipende anche da una mancanza di movimento. «Sono diventati brutti e cattivi - rileva Simonelli - perché i giornalisti hanno la schiena sdraiata e lo schema del Tg non viene rinnovato dagli anni ‘80». Da qui un atteggiamento allergico e la conseguente necessità di un vaccino. Che Andrea Bonini, giovane conduttore di Sky tg 24, ricerca nella capacità di autocritica e di responsabilità da parte dei giornalisti. Darwin Pastorin, direttore news di Quartarete, dice che il giornalista deve «resistere» alla debolezza di urlare le idee soltanto per fare ascolti.
E poi la testimonianza appassionata di Tiziana Ferrario, da poco reintegrata per decisione del giudice del lavoro alla conduzione delle 20 del Tg 1. «Credo nel servizio pubblico della tv di Stato, - dice - per questo penso che i suoi giornalisti non devono schierarsi. Hanno la responsabilità di garantire il pluralismo delle visioni». Se il nostro è un Paese democratico, allora «il popolo è sovrano solo quando è informato, quindi consapevole». E conclude concisa: «Il nostro obiettivo sarà raggiunto quando i servizi non parleranno più di vasini griffati per i bambini o dei gatti ratticidi di Downing Street. La nostra tv è afflitta da un disturbo molto serio, quello della mancanza del senso di realtà». Le prove? I dati dell’Osservatorio di Pavia e l’andamento inverso tra numero dei reati, che si è abbassato, e enfasi dei telegiornali, che ha fatto salire la percezione dei crimini.
Infine, l’ultima parte del convegno, riguarda gli ascolti delle tv locali dopo gli switch off e le sfide del cambiamento di fronte al digitale terrestre, al satellite e ai new media. A introdurre lo scenario è ancora Siliato, che, dati alla mano, mostra come lo switch off possa aggravare l’audience delle reti locali. Una posizione condivisa da tutti gli ospiti presenti alla tavola rotonda: Maurizio Giunco (Frt), Marco Rossignoli (Aeranti-Corallo), Luca Montrone (Telenorba), Fioravante Cavarretta (Telenova), Cristiano Benzi (Eutelsat), Giampaolo Colletti (Altratv.tv) e Roberto Binaghi (presidente Iab, Gruppo l’Espresso). «L’avvento del digitale terrestre impone al pubblico di ripensare il rapporto con l’informazione - mette in luce Nicoletta Vittadini, docente di Sociologia della comunicazione all’Università Cattolica -. La scelta è più ampia, cresce la competizione fra i media. Ma si tratta di una fase di esplorazione dei nuovi canali. Poi si tornerà a quelli principali». Quindi, almeno da questo punto di vista, le tv locali possono dirsi salve. Per il resto, si deve lavorare alla cura dell’informazione. Di lavoro ce n’è per tutti.