Justice is a game: la giustizia è un gioco. Con queste frasi Bob Dylan fece conoscere a migliaia di persone la storia di Rubin Carter, il pugile campione del mondo che, innocente, sedeva «in una camera infernale», una prigione. L'8 dicembre del 1975 al Madison Square Garden Dylan non ebbe paura e urlò: How can the life of such a man be in the palm of some fool's hand? / Come può la vita di un uomo essere nelle mani di qualche pazzo?

Il celebre cantautore statunitense è stato l’oggetto del quinto seminario del ciclo “Giustizia e letteratura”, promosso dal Centro studi “Federico Stella” sulla giustizia penale e la politica criminale (Csgp). All’incontro, che si è tenuto giovedì 31 marzo, hanno partecipato Alessandro Carrera, direttore del programma di italiano all’università di Houston e traduttore del canzoniere dylaniano, Armando Spataro, procuratore aggiunto presso il Tribunale di Milano e Adolfo Ceretti, docente di Criminologia presso l’università Bicocca.



Il titolo della tavola rotonda, emblematico, ha tratto spunto proprio da una canzone del musicista: Per vivere fuori dalla legge bisogna essere onesti (Absolutely sweet Mary, 1966). Dylan è stato un leader dei movimenti pacifisti e dei movimenti per i diritti civili che hanno attraversato gli Stati Uniti negli anni ’60 e ‘70. I testi delle sue canzoni affrontano temi politici, sociali e filosofici, risentono di influenze letterarie e sfidano le convenzioni della musica pop, appellandosi alla controcultura del tempo. Nei suoi testi l’artista canta l’umanità negletta, la solidarietà tra e verso i deboli.

Ma in Dylan c’è anche l’esaltazione delle regole, di una giustizia che per il cantautore - come ha sottolineato il magistrato Armando Spataro - «non è difesa del potere, dei privilegi della casta, ma è uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge». Una riflessione importante quella che si è tenuta presso l’Università Cattolica di Milano, «soprattutto – continua Spataro - se tiene conto di ciò che sta accadendo negli ultimi tempi. Basta pensare ad esempio al trattamento riservato agli immigrati». È facile quando si detiene un potere così forte, come quello di giudicare le azioni delle persone, di perdere di vista il senso del proprio lavoro, di essere duri con i deboli e deboli con i potenti. Proprio per questo è importante ricordare la figura di Bob Dylan. Perché le melodie di quelle canzoni riescono a farci pensare. Riescono, cioè, a riportare quelle riflessioni che, altrimenti, rischiano di restare soltanto delle valutazioni filosofiche su un piano di umanità.

Ed è questo il senso con cui dobbiamo interpretare il monito contenuto nel brano del 1963, “The lonesome death of Hattie Carroll”, dove l’artista dice: «Oh, but you who philosophize disgrace and criticize all fears, Bury the rag deep in your face For now’s the time for your tears» / «Ma tu che filosofeggi sulle disgrazie e critichi tutte le paure, infila profondamente nella tua faccia quel cencio, perché ora è il tempo delle tue lacrime».

Sono canzoni che ci riportano con il pensiero alle parole dell’italiano Fabrizio De Andrè. Il suo ultimo singolo “Una storia sbagliata” (1980), racconta la periferia, la gente normale, il carcere, l’ingiustizia subita da quelle persone che non possono presentarsi in tribunale con un pool di avvocati, ma che sperano soltanto una cosa: che la legge li difenda. De Andrè, come Dylan, spesso attaccava i giudici. Li ridicolizzava, ma solo con un obiettivo, quello di svestirli dalla toga e farli essere di nuovo uomini.

Le canzoni dell’autore americano volevano svegliare le menti di quelle persone che, sedendo comodamente nel loro salotti, preferivano non vedere. Proprio per questi motivi nella sua celeberrima Blowing in the wind (1962), Dylan si domandava: How many times must a man look up before he can see the sky? Yes, how many ears must one man have before he can hear people cry?/ Per quanto tempo un uomo deve guardare in alto prima che riesca a vedere il cielo? E quanti orecchie deve avere un uomo prima che ascolti la gente piangere?

«The answer, my friend, is blowin' in the wind. The answer is blowin' in the wind».

La risposta, mio amico sta soffiando nel vento, la risposta sta soffiando nel vento.