In Inghilterra e in America i corsi di Law and Literature hanno un peso rilevante nel percorso formativo di un giurista. Basti pensare che, secondo un recente rilevamento, sarebbero 124 gli insegnamenti con questa denominazione impartiti negli Stati Uniti, per lo più nelle avanzate Law Schools. In Italia, invece, sono ancora poco diffusi nel panorama universitario. Il ciclo “Giustizia e letteratura”, promosso dal Centro Studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale (Csgp), è un unicum nel suo genere, sia perché allarga la prospettiva oltre il rapporto tra diritto e letteratura, per abbracciare più complessivamente la “questione giustizia”; sia per il coinvolgimento non solo di giuristi aperti al confronto con la letteratura - com’è in genere caratteristica dei corsi stranieri -, ma altresì di scrittori, critici e letterati chiamati a loro volta a riflettere su giustizia e diritto. L’iniziativa ritorna quest’anno in un’edizione più ricca dopo il grande consenso raccolto lo scorso anno accademico tra studenti, dottorandi, docenti e professionisti. E con una novità importante: l’apertura degli incontri ad avvocati professionisti interessati ad approfondire il tema della giustizia nella letteratura, grazie al riconoscimento di crediti formativi da parte dell’Ordine degli Avvocati di Milano.
Ma come nasce l’idea di promuovere un ciclo di questo genere? E soprattutto quale ne è la finalità? A soffermarsi sulle tre ragioni fondamentali che hanno portato all’ideazione di questi incontri è il professor Gabrio Forti, direttore del Centro studi “Federico Stella” e, dal 1° novembre, preside della facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano.
«Spesso dalle facoltà di Giurisprudenza, anche da quelle più serie, un giovane laureato esce molto preparato sui diritti - sottolinea il professor Forti -. Non si sa, però, fino a che punto abbia sviluppato il “senso di giustizia”. Una qualità fondamentale per capire meglio le norme, applicarle e interpretarle e, quindi, per essere buoni avvocati, magistrati e legislatori. Accostarsi a opere di alta letteratura in cui sono presenti grandi questioni di giustizia può essere prezioso. L’obiettivo di quest’iniziativa è di portare lo studente oltre lo steccato dei diritti e fornirgli gli strumenti necessari per una migliore comprensione della realtà umana con cui il mondo delle norme deve fare i conti».
A questo aspetto, si aggiunge un secondo elemento, di carattere insieme pratico e culturale, che riguarda l’affinamento della lingua. «Assistiamo a un enorme impoverimento del linguaggio delle nuove generazioni – continua il professor Forti -. Recentemente Gianrico Carofiglio ha detto che la violenza può nascere anche dall’incapacità di esprimere se stessi. Come disse anche Iosif Brodskij, premio Nobel per la letteratura, durante un discorso all’università del Michigan rivolto ai giovani laureati che si avviavano al mondo delle professioni, occorre “investire” nel proprio vocabolario, “con lo scopo di esprimersi con la maggiore completezza e precisione possibile”». Perché, secondo Brodskij, la capacità di cogliere le sfumature dentro di sé coincide con la capacità del singolo di esercitare la propria libertà e soprattutto di acquisire una sorta di benessere interiore, il proprio equilibrio. Ciò vale per gli individui in genere, ma doppiamente per i giuristi.
«Sappiamo che i principali strumenti del mestiere dei giuristi sono, prima ancora di leggi e norme, la parola e l’interpretazione – chiarisce il direttore del Centro studi “Federico Stella” -. Nel momento in cui la lingua si sfibra, è chiaro che viene meno la a capacità di cogliere il senso della norma. Qualcuno ha detto che non c’è bisogno di abolire la Costituzione per annullarne la validità, basta che la gente non capisca più il significato delle parole che la Costituzione usa. Ecco perché è essenziale ridare significato alla parola, rispettarne una certa sua “sacralità”».
Infine, c’è un fondamento “normo-teoretico” alla base del percorso “Giustizia e letteratura”. Non va dimenticato che nell’esperienza del diritto è indispensabile considerare due livelli: quello in cui la norma viene “posta” con doverosa chiarezza e una certa iniziale rigidità; e quello in cui la norma si immerge nei mondi sociali, nei conflitti e nelle relazioni con le persone. Un’immersione che non deve essere unidirezionale. Perché la norma, dopo essersi impregnata della liquidità dei rapporti umani e sociali, può richiedere cambiamenti alla sua fisionomia originaria, sul piano legislativo e/o applicativo. Il giurista, dunque, deve essere in grado di cogliere questi processi che gli dischiudono la “sostanza” delle regole. Questa sua sensibilità è essenziale affinché la regola sia davvero in grado di incidere sulle dinamiche sociali. «In questo senso, l’iniziativa invitando il giurista a confrontarsi con la letteratura, lo induce a fare i conti con la concretezza umana e con la singolarità delle persone – afferma il professor Forti -. Ad aprire la mente alla molteplicità delle situazioni da cui la generalità e astrattezza della norma tendono a volte ad allontanarlo. La scrittrice statunitense Susan Sontag sosteneva che la letteratura abitua a pensare alla concretezza dell’essere umano, a “prestare attenzione”, il che ci rende degli individui morali. Con la nostra iniziativa, pertanto, ci proponiamo di educare alla sostanza umana delle regole».
Una sensibilità che va incoraggiata anche tra coloro che oggi esercitano la pratica forense, sottolinea il professor Forti, per dare ancora più dignità a una professione che è essenziale per la qualità del nostro vivere comune, ma che è esposta a un rischio di burocratizzazione e formalizzazione: non dimentichiamo che in Italia ci sono oltre 200.000 avvocati. «Gli operatori del settore subiscono una sorta di schiacciamento delle regole sostanziali sotto il peso prevalente del processo (anzi, per lo più, di una “bassa” procedura). È interesse di tutti, anche del “nostro equilibrio”, come avrebbe detto Brodskij, che in ogni settore professionale il giurista ritrovi e preservi il “senso di giustizia” e la dignità del proprio ruolo. Credo fermamente che anche la letteratura possa aiutarlo in questo compito».