Mai sarebbe voluta diventare una scrittrice. Poi a Parigi, mentre suo marito era impegnato col lavoro, iniziò a “incartare” i ricordi. «Sergio mi regalò un quadernetto da ragazzina delle medie. Sulla copertina c’era Indiana Jones, me lo ricordo ancora come fosse ieri. Mentre mio marito era sul set iniziai a scrivere appunti sugli ultimi giorni di vita di mia nonna. Era diventata il numero di un letto di ospedale. Aveva soltanto mura bianche attorno a sé. Volevo ridarle luce».
A raccontare gli inizi della sua carriera da scrittrice per la giornata di presentazione dell’ottava edizione del corso di Scrittura creativa dell’Università Cattolica - nato da un’intuizione della professoressa Maria Luisa Chiara, diretto dal professor Ermanno Paccagnini e coordinato da Giuliana Grimaldi - è stata la scrittrice premio Strega Margaret Mazzantini, che ha accompagnato la sua testimonianza con la lettura di alcuni brani dei suo libri per la voce del marito, l’attore e regista Sergio Castellitto. «La mia scrittura nasce dallo sdegno verso la condizione umana nei suoi momenti di maggiore abbandono. La letteratura ha un potere terapeutico, lavora sulle emozioni più profonde. Nella Sarajevo di Venuto al mondo l’assedio alla città è la metafora dello stato in cui si trovano i miei personaggi – ha raccontato la scrittrice – eppure anche da quella mostruosità si intravede uno spiraglio di luce: la maternità cercata e negata viene, alla fine, risarcita».
Dal libro al film il passo è breve ma non scontato. Dopo il successo di Non ti muovere, Sergio Castellitto si appresta a trasporre cinematograficamente anche l’ultimo libro della consorte Venuto al mondo. «Ho compreso alcuni lati nascosti di mia moglie molto di più dalle parole che ha scritto che da anni di convivenza gomito a gomito. Lavorare con lei dietro la macchina da presa ha rafforzato il nostro profondissimo legame d’amore ma scrivere e girare un film sono due atti intrinsecamente diversi. Lo scrivere – ha spiegato Castellitto – è un gesto di solitudine, un lavoro dolorosissimo, si è davanti a un muro bianco. Girare un film è un gesto operaio, ginnico, da artigiano». Poi, l’augurio ai presenti: «Non abbiate paura ragazzi. Scrivere è un atto di presunzione: non si scrive per comunicare, si scrive per toccare qualcosa che gli altri non riescono a dire». Come scrisse Rilke ad un giovane poeta, Franz Xaver Kappus, scrivere è “necessità”. Laddove non c’è, meglio non farlo.