«Per comunicare correttamente la Chiesa occorre prima conoscerne la natura». Queste le parole con cui il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, ha aperto il suo intervento al Circolo della Stampa, in occasione della ricorrenza del santo patrono dei giornalisti, Francesco di Sales. «La Chiesa - ha affermato Tettamanzi - è il popolo che Dio raduna nel mondo intero. Essa esiste nelle comunità locali e si realizza come assemblea liturgica ed eucaristica. Mi domando però se questa visione di sintesi sia perlomeno nota a chi per professione è chiamato a comunicarla». L'arcivescovo ha invocato per i buoni giornalisti di domani «una doverosa formazione professionale», prima ancora «della scelta personale di una formazione cristiana» e affida «un'importanza fondamentale» all'azione dell'Università Cattolica e dei suoi docenti.
Chiara Giaccardi, ordinario di sociologia della comunicazione all'Università Cattolica, ha ammesso che le difficoltà non mancano. «Il rapporto tra Chiesa e media - dice - è complesso e delicato, per la profonda differenza di contenuti, linguaggio, ma soprattutto prospettiva a partire dalla quale si parla». A fronte dei messaggi simbolici, espressi con un linguaggio paradossale, lanciati dalla Chiesa, si trova uno stile semplificato, se non semplificatorio, tipico dei mass media. «Credo che i mezzi di comunicazione e la Chiesa - ha concluso la docente della Cattolica - possano stringere un patto orientato alla giustizia e al bene comune e non a interessi di parte: un patto in cui le parole pronunciate possano contribuire a costruire un luogo condiviso in cui abitare, e non una serie di stereotipi e dogmi da assorbire».
Tettamanzi ha avvertito che la Chiesa non ha interesse a che si parli di sé ma il suo unico scopo è quello di comunicare la buona notizia: «la risurrezione di Gesù, la vittoria dell'amore sull'odio». Al dibattito erano presenti anche i direttori di Corriere della Sera, Repubblica e Avvenire: Ferruccio de Bortoli, Ezio Mauro, Marco Tarquinio. Il primo ha insistito sulla necessità per il mondo dell'informazione di essere laico a 360 gradi. Ma, allo stesso tempo, ha invitato la categoria a un esame di coscienza: «Qual è il rispetto della persona nella comunicazione moderna? Quante volte le persone vengono violentate per ragioni commerciali, di audience, politiche. Noi giornalisti - conclude De Bortoli - stiamo perdendo la dimensione etica della nostra professione». Lo stesso concetto è stato poi ripreso da Marco Tarquinio, secondo il quale la prima cosa è il rispetto per la persona.