A chi è capitato, anche solo per una volta, di partecipare alla celebrazione eucaristica tra le navate di una chiesa conventuale, non risulterà sconosciuto il timbro del canto gregoriano. Resta infatti vivida nella memoria dei sensi quella musica profonda, fatta di note e di parole, che accompagna la messa. Un modo di pregare che, nonostante ormai solo commenti la liturgia della parola, racchiude in sé una vera e propria autonomia musicale, storica, rituale. Nei prossimi giorni, durante la settimana che precede la festività natalizia, ad anticipare il Magnificat dei vespri saranno le sette Antifone Maiores in Avvento. Sono le cosiddette Antifone in O, perché iniziano tutte con la lettera “O”, mentre, sulla stessa melodia, si susseguono nei giorni sette diversi testi latini. Nello stesso periodo in cui i brani saranno cantati, sarà possibile vedere, nel primo chiostro della sede dell’Università Cattolica, le stesse sette antifone, ma sotto forma di immagini e di colori.
Le sette tavole, dipinte a tempera e disposte nell’ordine di recitazione dei brani liturgici, sono opera di don Renato Laffranchi. Un sacerdote, che già prima del 1946 e dell’ordinazione, ha nutrito una passione per la pittura e l’espressione artistica. Un’inclinazione ben presto volta alla tematica religiosa con grande sensibilità e spregiudicatezza. Parte di un’unica produzione tematica, risalente al 2003, i sette dipinti nascono dalla memoria portata dal pittore delle litanie dell’Avvento, e dal desiderio di trasporre le apparizioni visive, appena accennate dalla mente, in materia pittorica. «Le opere – racconta don Renato – sono state generate dal ricordo di quando al seminario le sette antifone si cantavano in coro nell’attesa del Natale».
Laffranchi rinnova la tradizione iconografica, pur rimanendone nel solco, e offre un’interpretazione personale, tra l’emozionale e il didascalico, dei versi liturgici. I contenuti semantici delle tavole sono i brevi testi delle antifone, dal latino sintetico e incisivo, che pregano invocando il Signore dell’Antico Testamento con sette nomi che ne preannunciano la venuta: Sapienza, Signore, Germoglio, Chiave, Astro, Re, Emmanuele. L’artista riesce a rendere il fascino delle antiche composizioni che, nella lettura delle iniziali latine, a partire dall'ultima, compongono l’acrostico "Ero cras", "Ci sarò domani”. Abbandonato il conformismo iconografico, il sacerdote trasferisce nelle tavole il senso di una promessa e di un’attesa che si rinnovano da due millenni. La pittura di Laffranchi ha dei modi ben precisi, pur non cadendo nella trappola della reiterazione e della ripetitività. L’ipotesi di una produzione che proceda per aree tematiche, cui riferire un diverso numero di dipinti, è certamente la prediletta dal religioso. A precedere la serie delle Antifone, sono infatti i gruppi de I sei generi di Diavoli e de Le otto Beatitudini; a seguirla l’insieme de La Via Crucis.
La stessa modalità pittorica, che procede per campiture piatte di colore e per una stilizzazione dei corpi e delle figure, trova una sua verifica nell’intera produzione del Laffranchi. La fedeltà, di contro alla sperimentazione, conferisce un preciso valore simbolico alla scelta espressiva, caricandola di significato e di evocazione. L’esposizione, curata da padre Enzo Viscardi, assistente spirituale nella sede milanese, dà modo ai visitatori di godere, nel periodo più indicato per un pieno coinvolgimento emotivo, di sette opere ordinariamente precluse al grande pubblico perché parte della collezione privata dell’artista. «Da tempo – spiega Viscardi – il centro pastorale dell’università si impegna per proporre, in concomitanza delle festività religiose, percorsi che intreccino l’arte e la spiritualità».