«Di quale capitale avrebbe bisogno oggi un’istituzione finanziaria per far fronte a un’altra eventuale crisi?». È la domanda che ha fatto da filo conduttore all’intervento del Premio Nobel per l’Economia 2003 Robert Engle, intervenuto al terzo e conclusivo appuntamento del ciclo di seminari “Il Futuro nell’Economia” promossi dall’Università Cattolica del Sacro Cuore per celebrare i 15 anni della facoltà di Economia nella sede di Roma.
Nel corso della lezione magistrale sul tema della “Stabilità finanziaria in Europa”, Engle ha evidenziato quali siano gli strumenti a disposizione per poter evitare di ritrovarsi in futuro alle prese con crisi devastanti come quella che ci accompagna ormai dal 2008.
Un intervento atteso da alcune centinaia di studenti che hanno affollato l’Auditorium della Cattolica e che è stato preceduto dall’intervento del rettore Franco Anelli, che ha sottolineato la rilevanza straordinaria «degli strumenti matematici che Robert Engle ci ha fornito per fare fronte in maniera più efficace ai rischi che incombono costantemente sulle nostre economie». Rischi che tra l’altro, ha aggiunto Anelli, «sono gli stessi con cui deve fare i conti il ricercatore che decide di investire in conoscenza tempo e risorse finanziarie: siamo grati al professor Engle – ha concluso il rettore – per aver voluto correre questi rischi che oggi ci hanno permesso di acquisire nuove e fondamentali conoscenze».
Il professor Giuseppe Arbia, docente di Statistica alla facoltà di Economia, ha brevemente introdotto l’ospite, di cui condivide gli studi in econometria, ripercorrendo la sua straordinaria biografia professionale e ha affermato che «milioni di persone in tutto il mondo hanno potuto ottenere grandi benefici proprio dai suoi studi».
Il Nobel di Syracuse (Usa) ha preso la parola ricordando che non si può parlare della crisi economica senza rimarcare che tutto ha preso avvio il 15 settembre del 2008 con il fallimento della Lehman Brothers. «Oggi – ha spiegato Engle agli studenti – non è però più tanto importante stabilire se fu giusto o meno far fallire quella banca, quanto chiedersi come fare per non ritrovarsi più in quelle stesse condizioni».
A questo proposito un suo gruppo di studio ha messo a punto una sorta di indice del rischio, denominato Srisk, cioè “rischio sistemico”, che, attraverso sofisticati modelli matematici, opera un monitoraggio di più di 1.000 istituzioni finanziarie mondiali, quantificandone appunto il rischio sistemico, ossia quello di un improvviso default.
«Secondo i nostri calcoli – ha affermato Engle presentando una serie di slide molto esemplificative – in termini assoluti i Paesi più a rischio attualmente sono Giappone, Cina e Usa. Se consideriamo invece questo fattore rapportandolo al valore del Pil, in testa troviamo la Francia, seguita da Grecia e Regno Unito».
Nel modello econometrico di Robert Engle non ci sono solo elementi di allarme e quindi di prevenzione ma anche di possibili soluzioni a future crisi. Con riferimento in particolare all’Europa, il premio Nobel ha indicato quattro fattori che potrebbero essere risolutivi.
«Innanzitutto – ha spiegato – bisognerebbe lasciare piena libertà d’azione alla Bce sul fronte del quantitative easing. Poi, la stessa Banca centrale europea, dovrebbe poter disporre di risorse finanziarie sufficienti per risultare l’istituzione finanziaria di ultimo intervento. Il Parlamento europeo dovrebbe inoltre garantire per legge una piena copertura dei titoli sovrani e, infine, cosa quanto mai fondamentale – ha concluso -, ci vorrebbe una politica fiscale comunitaria di maggior stimolo, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti nella formazione e in infrastrutture».