È stato un testimone diretto della sanguinosa guerra civile che per 22 anni ha devastato il Nord Uganda. Monsignor Sabino Odoki, vescovo di Arua, diocesi al confine con Sudan e Repubblica del Congo, fino a dicembre scorso è stato ausiliare della diocesi di Gulu, una delle aree più colpite degli scontri tra i guerriglieri del Lord's Restistance Army (LRA), guidati dal ribelle Joseph Kony, e l’esercito regolare ugandese. Lo scorso 11 febbraio il vescovo di Arua era a Milano, invitato dall’Università Cattolica, per raccontare la sua esperienza nel corso di un incontro intitolato: Nord Uganda e Sud Sudan: quale futuro per i cristiani? Al dibattito, moderato da Roberto Moro Visconti, docente di Finanza aziendale, sono intervenuti, padre Giovanni Demaria, assistente pastorale dell’Università Cattolica, Dominique Corti, Fondazione Onlus Piero e Lucille Corti per Lacor Hospital, Giovanna Ambrosoli, Fondazione Dr. Ambrosoli Memorial Hospital, e Alberto Reggiori, Fondazione Avsi.
Le preoccupazioni di monsignor Odoki sono rivolte alla popolazione ugandese chiamata il 18 febbraio a confrontarsi con un’importante sfida: le elezioni presidenziali e parlamentari. «Ci stiamo avvicinando a questo momento con molta paura, anche perché nella fase di campagna elettorale sono aumentati gli episodi di violenza». All’inizio di gennaio, ha continuato il vescovo, l’arcivescovo di Gulu John Baptist Odama si è recato a Kampala per incontrare i candidati, con l’obiettivo di favorire un clima politico tranquillo e sicuro. Ma ha trovato enormi difficoltà poiché molti di loro si sono rifiutati di incontrarlo, dal momento che considerano poco rilevante il ruolo della Chiesa nel Paese. «Per questo motivo di fronte al sospetto di brogli e irregolarità - ha continuato il vescovo di Arua -, la Conferenza episcopale ugandese ha assunto una posizione molto forte, chiedendo ufficialmente al governo e alla Commissione elettorale di garantire lo svolgimento pacifico del voto». Otto i candidati eleggibili, fra i quali anche il principale oppositore dell’attuale presidente Yoweri Museveni, Kizza Besigye, al centro di un'inchiesta per diffamazione. È la terza volta che Besigye, dopo gli insuccessi del 2001 e del 2006, tenta di sottrarre a Museveni la guida del Paese. Anche se quest’ultimo resta il grande favorito.
Le elezioni non sono l’unica preoccupazione di monsignor Odoki. C’è da affrontare il rientro della popolazione nei villaggi, dopo vent’anni trascorsi nei campi profughi a causa della guerra. «Bisogna ripartire da zero e ricostruire tutto, dalle case alle scuole. Però non abbiamo mezzi sufficienti a disposizione. Mancano le medicine, il cibo, persino gli attrezzi per coltivare la terra». Accanto agli aiuti materiali servono anche aiuti psicologici. Il pensiero va a tutti coloro che hanno subito le violenze della guerra. Senza dimenticare la piaga dei bambini soldato. Le stime parlano di 20 mila bambini rapiti e costretti a combattere come soldati. «Molti di loro sono morti, ma quelli scampati alla guerra sono profondamente traumatizzati o gravemente lesionati dalle mine – ha ricordato monsignor Odoki -. Anche se la guerra che si vedeva con gli occhi è finita da tempo, nella mente di chi l’ha vissuta continua a persistere. Per questo motivo abbiamo bisogno d’aiuto, soprattutto in questo momento in cui la popolazione che sta affrontando la sfida di un nuovo inizio».