«Mi sento un po’ sotto esame con tutti questi professori». Ha esordito così, scherzando con la foltissima platea intervenuta alla sua lezione sul futuro dell’euro, Romano Prodi, in cattedra nell’auditorium Mazzocchi della sede di Piacenza nell’ambito dell’ottavo appuntamento annuale con le Lezioni “Mario Arcelli”. Accanto a lui i professori dell’ateneo Giacomo Vaciago, Luigi Campiglio, Maurizio Baussola insieme a Innocenzo Cipolletta e Angelo Federico Arcelli, che sono intervenuti alla fine della lectio dedicata al tema: “La crescita europea ed il futuro dell’Euro: rischi e strategie”.
«Oggi è molto di moda parlare della fine dell’euro, - ha esordito Prodi - questo non accadrà ma occorrono correzioni e interventi molto più vigorosi rispetto a quelli presi fino ad ora». Il professore, che ne fu l’artefice, parla della moneta unica europea a dieci anni dalla sua nascita, con la certezza che «indietro non si torna». «L’Europa - ha proseguito - si è sempre sviluppata attraverso le crisi e tuttavia si è sempre allargata, talvolta con risposte lente e tardive, ma comunque efficaci. Il Patto di stabilità e di crescita del 1997 poneva alcune regole fondamentali per contrastare l’inflazione con la disciplina del deficit e del debito: una sfida veramente difficile per l’Italia, che dovette vincere molte resistenze. Fu una corsa drammatica contro l’ostilità di alcuni paesi – in particolare Olanda e Germania - e attacchi finanziari pesanti. L’ingresso nell’euro fu un grande risultato politico. L’euro è stato uno dei grandi passaggi della nostra storia».
Prodi è passato poi ad affrontare la più stretta attualità. «Bastavano 30-40 miliardi per affrontare in tempo la crisi greca - ha sottolineato Prodi -. Invece sono iniziati i vertici, le mediazioni, con interventi insufficienti e mezze decisioni. Azioni incerte e non adatte a contrastare gli attacchi speculativi». Ma la dissoluzione dell’euro non avverrà perché «nessuno ha interesse che avvenga. Tuttavia ci troviamo in uno strano e pericoloso gioco al rinvio che deve finire. La Germania, al centro di questo meccanismo, è lo Stato che più di tutti si è avvantaggiato dall’euro». L’ex presidente della Commissione europea non ha risparmiato critiche alla guida europea a trazione franco-tedesca di questi anni: «La situazione è cambiata e la dirigenza tedesca attuale non segue più la strada tracciata da Helmut Kohl della Germania europea. Le mediazioni franco-tedesche hanno frenato i processi degli ultimi anni anche perché non possiamo più affermare che esiste un’Europa a due pistoni: il pistone tedesco è decisamente più grande di quello francese. In questa situazione il governatore della Bce Mario Draghi ha mostrato un grande coraggio con i suoi interventi».
E di fronte all’attuale fase di incertezza, legata a queste azioni non risolutive, si deve reagire con una forte capacità di ripresa, con politiche adeguate e diversi strumenti da mettere in atto: dagli Eurobond a nuovi investimenti nell’innovazione. «Non si possono pretendere dall’Italia e dalla Grecia nuove misure di austerità senza offrire una prospettiva di rilancio economico, certo – ha concluso - se non si fossero prese misure di rigore oggi ci troveremmo in un pasticcio ancora maggiore».