Qualcosa sta cambiando per le donne, almeno nelle professioni. Ma resta ancora da fare molto per conciliare la famiglia con il lavoro. Lo rivela lo studio di Isabella Cocciolo, 25 anni, laureata magistrale in Economia alla sede di Piacenza dell’Università Cattolica, attualmente praticante in uno studio di commercialisti. Con la sua tesi "L’onda rosa nelle libere professioni: limiti, opportunità e dinamiche", ha vinto il premio del concorso bandito dalla Camera di Commercio di Lecco e intitolato alla scomparsa imprenditrice lombarda Maria Grazia Agnesina Beri.
Il premio le è stato consegnato il 23 settembre al Padiglione Italia di Expo (nella foto sopra). «Una ricerca che nasce da un progetto più ampio della Cattolica, coordinato dalla professoressa Donatella Depperu: quando la mia relatrice, la professoressa Carlotta D’Este, mi ha proposto una tesi al di fuori dagli schemi, il tema mi è subito piaciuto e ho voluto contribuire con il mio apporto empirico, incontrando donne impegnate nelle professioni». I dati raccolti riguardano tutta Italia, con un focus particolare su Piacenza e Cremona.
Partiamo da un dato che rappresenta la situazione italiana nel 2014: l’indice globale di differenziale di genere, pubblicato annualmente dal World Economic Forum ci classificava 71esimi su 136 Paesi analizzati. Ultimi in Europa e arretrati rispetto a Paesi con il Senegal e la Cina. Un dato che deriva innanzitutto dalla disparità salariale e dalla differenza negli orari di lavoro (le donne lavorano 326 minuti in più rispetto ai colleghi uomini). Ma conta anche la scarsa rappresentanza politica e la segregazione occupazionale: ancora oggi le donne cono confinate in ambiti occupazionali tradizionalmente femminili quali assistenza, istruzione e servizi. Dati positivi? «Un lieve miglioramento in termini di riequilibrio di genere si è avuto grazie alla famosa legge delle cosiddette “quote rosa”: secondo i dati elaborati da ManagerItalia nel 2033 arriveremo a una presenza femminile nei Cda del 50 e 50%» sottolinea la giovane laureata.
Del resto l’accesso delle donne al mondo del lavoro va visto come un dato estremamente positivo, come ricorda nella sua tesi Isabella Cocciolo. «Più donne al lavoro significa più Pil, più donne ai vertici delle imprese significa un maggior guadagno per tutti perché consente di valorizzare i talenti al di là del genere; talenti dei quali l’Italia ha bisogno per uscire da questa situazione di stallo che la tiene intrappolata da tempo».
L’indagine, che va dal 2004 al 2014, mostra che le donne si mettono più in gioco, grazie alla maggior formazione. In questo range temporale i livelli di appartenenza a ordini professionali sono aumentati esponenzialmente: «Gli avvocati-donne in Italia sono cresciuti del 183,73 per cento, gli psicologi del 155,10 per cento. Rimane un fenomeno di autoselezione, le donne tendono ad andare verso certi settori, il medico sanitario, per esempio, invece che il tecnico. Gli ingegneri-donna sono aumentati, ma restano una quota residuale, il 13 per cento: nel 2004 non c’era neppure un censimento. I comitati professionali per la parità? A volte, se sono di facciata, non servono».
Cosa serve ancora per far un altro balzo in avanti? «Servizi pubblici per l’assistenza di bambini e anziani. Un rinnovato sistema fiscale con una tassazione su base individuale anziché famigliare e un più robusto sistema di congedo di paternità. Il problema non riguarda le competenze, che abbiamo, ma la possibilità di essere mamme, di occuparci della famiglia».