Il dialogo tra letterati e giuristi rappresenta il luogo d’ascolto di voci che spesso appaiono distanti. E rivela l’autentico ruolo della letteratura di fronte al conflitto, che non giudica e non cade nella logica delle ragioni contrapposte, ma racconta anche il punto di vista del nemico. È questa l’idea che anima il ciclo seminariale “Giustizia e letteratura”, organizzato dal Centro Studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale (Csgp) in collaborazione con la Formazione permanente dell’Università Cattolica.
Il 14 marzo scorso, durante il secondo appuntamento del ciclo, dal titolo “Contro e in nome dell'Imperatore. Due volti del Risorgimento in letteratura”, sono stati presi in esame i romanzi che raccontano il periodo risorgimentale e i processi celebrati dalla magistratura dell’Impero austriaco nei confronti degli appartenenti alla Carboneria che ci permettono di entrare nel mondo del ‘grande avversario’ della battaglia di Solferino e San Martino. Un tema d’attualità - come ha sottolineato Gabrio Forti, direttore del CSGP e preside della Facoltà di Giurisprudenza della Cattolica -, anche alla luce del vivo dibattito suscitato dalle recenti celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Dopo l’introduzione di Forti, ha preso la parola Eraldo Bellini, docente di Letteratura italiana in Cattolica. Bellini si è soffermato sulla figura dell’autore de Le mie prigioni, Silvio Pellico. Ne ha illustrato la vita, le idee, la figura di intellettuale europeo e la sua aspirazione per l’innovazione, soffermandosi in particolare sull’adesione di Silvio Pellico alla Carboneria e alla significativa esperienza della detenzione che ne ha ispirato l’opera.
Fausta Garavini, già docente di Lingua e Letteratura francese all’Università degli Studi di Firenze, autrice del romanzo “In nome dell’Imperatore”, ha parlato delle scoperte fatte nella stesura del suo romanzo storico. Documentandosi sull’epoca dei processi del 1821 celebrati nei confronti dei carbonari, ha deciso di raccontare la storia del giudice Antonio Salvotti. Contrariamente alle classiche descrizioni che ci raccontano di Salvotti come un aguzzino, o un ‘grigio’ funzionario dell’Impero, nel suo romanzo il giudice si rivela invece un uomo probo, profondamente legato al suo giuramento di fedeltà all’Austria. I carbonari, invece, si scoprono poco organizzati, e anche capaci di ambiguità e bassezze. Nel volume tutti i protagonisti dell’epoca risultano così più umani, più credibili. Se è vero che lo storico non può prescindere dai documenti, lo scrittore può immaginare realtà anche diverse. Quando nulla più dice la fonte storica, alla letteratura è permesso andare oltre e più a fondo nelle vicende narrate. La storia dello Stato italiano aveva bisogno di miti e di eroi e ciò ha determinato la santificazione degli appartenenti alla Carboneria e la demonizzazione del regime carcerario austriaco. Ma forse, in realtà, questi primi patrioti, i carbonari, avevano un’idea ancora confusa dell’indipendenza.
In risposta all’intervento della Garavini, Bellini ha preso nuovamente la parola per parlare del trattamento carcerario nella fortezza dello Spielberg, la prigione dove fu detenuto Silvio Pellico con gli altri patrioti risorgimentali. La detenzione fu indubbiamente un’esperienza di dolore e tormenti. I dati sul sistema carcerario sono tratti non solo dalle testimonianze del Pellico e degli altri condannati, ma anche da documenti provenienti dagli stessi giudici dell’epoca. Il carcere è descritto come un’esperienza di sventura, termine utilizzato da chi è innocente e subisce una condanna ingiusta, a una pena sproporzionata rispetto all’ipotesi di reato e inflitta senza un reale accertamento della colpevolezza degli imputati.
Tra i discussant giuridici dell’incontro, Stefano Solimano, docente di Storia del diritto medievale e moderno in Cattolica, ha parlato della Carboneria come movimento indipendentista elitario, nato allo scopo di permettere alla classe nobiliare italiana di contrastare la politica accentratrice dell’impero austriaco. Non un movimento ispirato da esigenze di indipendenza dell’Italia, dunque. Solimano ha poi illustrato il sistema sanzionatorio austriaco. Il giudice Salvotti ha incarnato la tipica figura del cosiddetto giudice a tre teste: contemporaneamente inquirente, difensore e giudicante. Un giudice che riesce quasi sempre a condannare grazie alla sua capacità professionale specialistica nelle tecniche dell’interrogatorio. Si è fatto cenno anche alle caratteristiche del codice austriaco dell’epoca, che si caratterizzava per un’impronta illiberale: era ancora prevista la possibilità di utilizzare negli interrogatori lo strumento della minaccia e metodi di coercizione corporale.
Alessandro Provera, giovane studioso del Centro Studi “Federico Stella” e dottore di ricerca in Diritto penale, ha chiuso l’incontro offrendo lo spunto per interrogarsi sulla possibilità di considerare il Risorgimento italiano memoria storica condivisa. Le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia hanno svelato che, in realtà, non tutta la società civile e politica italiana condivide lo spirito unitario e indipendentista del Risorgimento. Lo stesso dato storico è stato in parte oggetto di operazioni revisionistiche. Tuttavia, vi sono alcuni aspetti del Risorgimento che non sono stati perduti. L’opera di Silvio Pellico, ad esempio, restituisce memoria storica di quel periodo della storia nazionale, poiché descrive l’uomo risorgimentale: eroe e debole, al contempo, prigioniero e carceriere, un uomo che riconosce l’altro da sé, le sue ragioni e la sua umanità. Ciò che rimane è, in definitiva, la fondamentale idea di giustizia risorgimentale: una giustizia che non nega le ragioni dell’altro, le conosce, le approfondisce e le giudica.