di Rolando Anni *
Una delle peculiarità della Resistenza bresciana si manifestò nell’alto numero di presenze dei cattolici nelle formazioni partigiane. Fu l’aspetto più evidente, ma non il più importante. Il contributo forse più rilevante e duraturo va cercato nell’elaborazione teorica di un pensiero politico e sociale originale che trovò la sua più compiuta espressione nel giornale clandestino “Il ribelle”. La mostra Volti, luoghi e parole della resistenza bresciana nella biblioteca di sede, esposta in occasione della festa della Liberazione, costituisce un modo discreto, ma non banale per fare memoria di un passato molto complesso e oggetto di numerose ricerche.
Attraverso immagini e filmati che scorrono sul video, si vedono i volti di alcuni ribelli scomparsi nei lager, fucilati, torturati e uccisi fissati, per sempre nel bianco e nero delle fotografie degli anni Quaranta. Sono volti di giovani o giovanissimi, poco più che ragazzi, che dovettero fare, a Brescia come nel resto d’Italia, delle scelte estremamente difficili, talvolta dilanianti, talvolta aiutati soltanto dalla loro coscienza: dire di no al fascismo o aderire alla Repubblica sociale italiana appena sorta; oppure, se fosse stato possibile, non fare nessuna scelta e vivere i propri giorni in una specie di “zona grigia”.
La Resistenza bresciana trova la sua più alta espressione, e quindi la sua lezione più vera, nei momenti in cui gli uomini e le donne che ne fanno parte appaiono sconfitti, condannati a morte e uccisi. Questi giovani trovano di fronte alla morte le parole più semplici, ma anche le più profonde. Leggendole si avverte che per loro vale la pena di vivere o di morire per i valori in cui credono: la libertà, la dignità umana, un mondo giusto... Vediamo tra gli altri il volto ancora bambino di Bortolo Fioletti (Poldo), morto il primo maggio 1945 a Monno, in Valcamonica. In una lettera, quando lasciò la famiglia per raggiungere i partigiani in montagna, scrisse: «Cara mamma, non piangere per me. Perdonami e pensa se io fossi tra coloro che martirizzano la nostra gente […] Io sono qui per nessuna altro scopo che la fede, la giustizia e la libertà, e combatterò sempre per raggiungere il mio ideale […] Presto verremo giù, e vedrai che uomini giusti saremo. Allora si vivrà con la soddisfazione di vivere e non con l’egoismo di oggi». Con ingenuità e contemporaneamente con grande intensità egli espone alcuni principi che non appartengono solo a lui, al giovane Poldo, ma, anche se in misura diversa, a tutti. Emerge nelle sue parole la speranza che il mondo futuro sarà abitato da uomini giusti. Noi, a distanza di 65 anni, sappiamo che raramente e solo in parte quella speranza si è realizzata, che l’egoismo non è stato sconfitto e che la giustizia è un ideale sempre da raggiungere. Ma sappiamo anche che quella speranza è sempre viva e che sta a noi realizzarla.
Nella mostra sono anche esposti oggetti appartenuti ad Astolfo Lunardi, tra cui la piccola croce del rosario, deformata dai colpi di fucile che il 6 febbraio 1944 lo uccisero insieme a Ermanno Margheriti in città. Anche le cose possono parlarci se le sappiamo comprendere, silenziosamente ci dicono molto delle persone che le hanno possedute.
Ai numerosi frequentatori della biblioteca viene proposto un ricordo silenzioso e poco appariscente perché possano, se vogliono, riflettere qualche istante su vicende ormai lontane, ma che conservano una forte attualità. Come scriveva Piero Scoppola, il fatto che gli ideali e le speranze espresse da quel movimento di liberazione «non siano compiutamente realizzati dà alla Resistenza un valore e un significato più vivo e attuale: non ricordo da custodire gelosamente nell’armadio delle sacre memorie e da tirar fuori solo in occasione di qualche ricorrenza, ma ancora, per gli italiani migliori, un impegno morale e politico».
* Collaboratore dell’Archivio storico della Resistenza bresciana e dell’età contemporanea