«Una frontiera segna una separazione, ma è anche luogo di scambio». Sono le parole con cui Gioachino Pistone della Chiesa Valdese ha introdotto il confronto tra il rav Giuseppe Laras e il cardinale Angelo Scola, promosso nell’aula magna dell’ateneo il 23 gennaio dalla Fondazione culturale S. Fedele e dalla Fondazione Maimonide. Dialogare significa mettersi in ascolto. Un principio semplice ma che nella relazione tra ebrei e cristiani ha richiesto un impegno direttamente proporzionale alle differenze, entro i confini esistenti tra l'una e l'altra. Il dialogo non nasce da questa distanza ma dalla capacità di condivisione dell’ascolto della Scrittura, della lettura del Libro per eccellenza.
Non è un caso allora che teatro di questo incontro sia stata l'Università Cattolica, luogo di studio e ricerca: «La scelta dell’argomento è un modo felice attraverso cui l’università realizza il proprio ruolo», ha detto infatti il rettore Franco Anelli nel suo saluto all’aula gremita. Quella stessa aula magna in cui nel 2002 il cardinale Carlo Maria Martini ricevette la laurea honoris causa in Scienze dell’educazione, ribadendo nel suo discorso di ringraziamento quanto la Bibbia fosse il grande codice educativo di tutta l’umanità, la base del nostro sentire etico, storico, artistico. E il “cardinale del dialogo”, come era stato soprannominato, è stato ricordato da Vittorio Robiati Bendaud della fondazione Maimonide: «Martini riposa in Duomo dentro la terra d'Israele secondo il suo desiderio: delle manciate della terra eletta sono sepolte con lui. Qualche decennio fa non sarebbe stata possibile una così forte amicizia tra un rabbino e un cardinale». Milano, ospitando il seguito di questo dialogo, continua a essere pienamente universitas.
La Bibbia, al centro del dibattito, sembra tuttavia assente nel pensiero contemporaneo, ha esordito Laras, «mentre è potenzialmente una fonte d'ispirazione insostituibile sul piano etico culturale e spirituale». Tra i vari passi citati dal rabbino particolarmente evocativo è l’episodio biblico in cui Israele conosce la sua prima lotta da popolo libero nello scontro con Amalek. Durante la battaglia, quando Mosè alzava le mani, stringendo il bastone di Dio, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek. «Quando il popolo guarda verso l’alto guarisce e vince. Così nei momenti difficili della vita bisogna saper attingere alla trascendenza: non siamo soli, c’è qualcosa per cui vale la pena di soffrire e andare avanti», ha detto Laras che ha orientato il suo discorso sull’amore verso il prossimo a cui ci invita la Bibbia e all’amore verso l’unico Dio. Lo stesso Dio che nella Genesi chiede a Caino: «Dov’è tuo fratello», ed egli risponde: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Una risposta, dice Laras, in cui non dobbiamo immedesimarci, perché al contrario noi siamo custodi e responsabili dei nostri fratelli.
Secondo Scola [VIDEO] a Bibbia è il documento scritto del dialogo con Israele prima e poi con tutti i popoli attraverso Gesù. La radice del Cristianesimo è quindi ebraica per fondamento e ne consegue che, sebbene la singolare ferita dello scisma originario del popolo di Dio rimanga per la Chiesa un mistero inesplicabile, la spinta alla conoscenza dell’altro debba essere naturale: «Antico e Nuovo Testamento, Gesù e la Sacra Scrittura d’Israele sono inseparabili», ha detto il cardinale ricordando le parola di papa Benedetto XVI. Il genere umano è una sola famiglia e le Sacre Scritture ci chiamano a una risposta di fede per servire il Signore, ha detto l’arcivescovo di Milano concludendo l’incontro: «La Bibbia racchiude un patrimonio di fede e umanesimo che dobbiamo condividere con tutti, con gioia, di cui c’è tanto bisogno». Il dialogo proseguirà quindi, perché come ha scritto Martini: «Ciò che è conosciuto diviene poi oggetto di attenzione, di amore, di delicato rispetto, di colloquio, di scambio».