L’errore più grosso di Obama? Il tempismo. I suoi messaggi, dalla sanità all’Isis, sono arrivati troppo tardi per essere decifrati dagli elettori. A pochi giorni dalla bruciante sconfitta alle elezioni di mid-term, parla Vanessa Beasley, una delle massime esperte di retorica presidenziale americana, che nei giorni scorsi ha partecipato a un simposio (link) su questo tema in largo Gemelli. La sconfitta all’ultimo test elettorale della presidenza Obama potrebbe portare nei prossimi due anni alla paralisi del Congresso, senza che questo escluda che Obama possa essere più libero di muoversi, perché non ha più niente da perdere.
«Sono vere entrambe le cose - spiega la Beasley - . Obama non ha niente da perdere personalmente, ma il suo partito sì. Ogni presidente, negli ultimi due anni di mandato, deve essere attento alla sua parte politica, ma abbiamo già notato che le sue performance pubbliche sono un po’ cambiate rispetto agli standard. Negli ultimi sei mesi è stato più esplicito, dicendo apertamente ciò che lo indispone. È stato sentito fare commenti in pubblico in maniera abbastanza disinvolta e, ora che si accinge ad affrontare gli ultimi due anni, penso che inizieremo a vederlo gestire la sua immagine meno minuziosamente, più diretto nel dire quello che pensa».
Quali sono le implicazioni politiche delle elezioni di mid-term? Secondo il nuovo report sul lavoro in America i numeri stanno risalendo. Quindi le iniziative del presidente su occupazione ed economia funzionano. Per questo, persino per un Congresso repubblicano sarebbe folle bloccare questo progresso, perché gli elettori gli si rivolterebbero contro. Queste politiche alla fine iniziano a funzionare, nonostante siano state lente a entrare in azione.
Una lentezza che forse spiega perché la ripresa economica non ha avuto effetto sulle elezioni. Gli americani non sentono ancora i risultati di questa crescita? Penso di sì. Se i dati sull’occupazione fossero usciti una settimana prima avrebbero potuto fare un po’ di differenza. Certamente il “passo” della ripresa è un problema, non sta avvenendo abbastanza velocemente perché tutti possano vederne i frutti nell’immediato. Ma la gente inizia a parlarne.
Questa non è la prima volta che democratici e repubblicani condividono il potere a Washington. Quali sono le differenze con il passato? Per alcuni versi non ci sono differenze con altri tempi. Spesso la gente sente di vivere un momento unico e speciale, ma se poi si guarda alla storia, ci accorgiamo che non è così. I media lo sanno benissimo, ma ciò nonostante continuano a fare del sensazionalismo, perché fa vendere più copie o registrare più ascolti.
Quindi niente di nuovo sotto il sole? Non voglio dire che i prossimi due anni non saranno importanti, ma che dobbiamo ricordarci che non è un “pericoloso caso” senza precedenti. Questa situazione non significa che non ci sarà posto per nuove leggi o nuove riforme, ma anzi i partiti dovranno stare molto attenti a come si porranno e a come tratteranno tra loro, cosa che finora non è stata fatta granché.
Che contro-indicazioni ci sono per i repubblicani nel caso di una paralisi legislativa, in particolare in vista delle presidenziali del 2016? Dobbiamo ricordare che entrambi i partiti hanno da perdere e da guadagnare attraverso la collaborazione. Sicuramente saranno molto attenti su quali punti collaborare, ma c’è un forte rischio per i repubblicani nel continuare a essere percepiti come ostruzionisti.
Facciamo qualche esempio. Ci sono segnali molto positivi negli Stati in cui la riforma sanitaria è passata, e la gente se ne sta accorgendo. I governatori o i rappresentanti repubblicani devono chiedersi con molta attenzione se vogliono boicottare queste riforme.
La politica estera di Obama ha condizionato queste elezioni? Tradizionalmente, nelle elezioni di mid-term, non si dà grande importanza alla politica estera. La gente vota per i propri rappresentanti al Congresso valutandoli più sulla capacità di controllare l’agenda interna che quella internazionale. Gli esteri riguardano per lo più le presidenziali.
E hanno giocato a favore o a sfavore di Obama in questi anni? La nuova situazione in Medio Oriente e il recente coinvolgimento nell’area sono stati probabilmente fattori influenti durante le presidenziali del 2012, soprattutto dopo che il presidente aveva promesso di non tornare nella regione. È stato forzato a tornare sui suoi passi, scontentando alleati e avversari. La sinistra negli Stati Uniti è molto scoraggiata da questi passi indietro, ma anche la destra è molto frustrata per il motivo opposto: continuano a sostenere che Obama non ha fatto abbastanza contro l’Isis, e che non bisognava abbandonare il Medio Oriente. È un grosso problema per lui perché è attaccato da entrambe le parti.
Qual è stato l’errore più grosso di Obama in questi sei anni? Forse il tempismo. Molte volte i suoi messaggi e la sua narrativa pubblica sono arrivati in ritardo, rendendo difficile far comprendere alla gente i suoi scopi. È successo con la sanità, è successo con l’Isis. Mi ha sorpreso che la sua amministrazione abbia fatto delle scelte che andavano prese con un atteggiamento più deciso, invece che mostrarsi titubante. Penso che questo sia un grosso errore di comunicazione.